Taylor-Serrano come Frazier-Ali

2 Maggio 2022 di Glezos

Vero, il Bernabeu pieno e le oltre 40.000 anime a Parigi per il calcio di Real Madrid e PSG femminili saranno anche retorica, come lo è il mantra che recita “chissà quando vedremo atlete italiane in grado di riempire uno stadio”. Da noi probabilmente mai, men che meno nella boxe. Altrove la faccenda è azzerata da tempo, per esempio al Madison Square Garden di New York.

Fin dall’annuncio di mesi fa del match tra Katie Taylor (21-0) e la sfidante southpaw Amanda Serrano (42-2-1) (“Il più grande incontro di tutti i tempi di boxe femminile”) le stimmate del classico caso-limite c’erano tutte: tra la leggenda irlandese e la portentosa portoricana dal record più che importante non c’era in palio solo il titolo undisputed dei pesi leggeri (WBC, WBA, IBF e WBO), ma un’ idea stessa dell’ attuale dimensione del pugilato femminile da tramandare ai posteri.

Rispettivamente numeri 1 e 2 del ranking internazionale, le due proiettano effettivamente un sentore da match memorabile fin dall’uscita dagli spogliatoi, in un MSG zeppo fino all’ inverosimile – prima volta in assoluto per un match femminile – e con un pubblico in preda ad autentico delirio da tifo: mai sentito nulla del genere, con audience equamente divisa tra irlandesi in verde, latini sbandieranti e commentatori a bordo ring a scomodare paragoni più che illustri (nientepopodimeno che il primo Frazier-Ali vendemmia 1971) e a concordare che un caos così assordante non si era sentito nemmeno allora, mentre io da un momento all’altro aspetto l’apparire sul ring di Clint Eastwood, Hilary Swank e il A Chuisle Mo Croi di Million Dollar Baby.

Fin dall’ avvio il match mantiene tutte le promesse, e sì che non erano poche. Amanda Serrano cerca subito di accorciare la misura, Katie Taylor si tiene distante e piazza qualche colpo: l’irlandese conosce a menadito caratteristiche e intenzioni della velocissima Serrano e per le prime tre riprese punge da lontano cercando il clinch ad ogni accenno di infighting. Nel costante ruggito della folla Amanda aumenta la pressione, ed al quinto round la sua mobilità, velocità e precisione sembrano pagare: mai vista Katie Taylor in queste difficoltà, sanguinante e sballottata in un paio di frangenti dalle serie diretto-gancio (pochissimi i montanti) della portoricana sempre sul piede davanti e che addirittura fa intravedere una conclusione prima del limite.

Le immagini all’angolo mostrano una Taylor provata e in una chiara crisi che proseguirà per un paio di round, contro un pronostico che prevedeva il KO nelle prime riprese per la reattivissima Amanda oppure l’affermazione ai punti per la Taylor, che dal settimo round risale la china e costruisce sulla sua stamina, contrando i colpi alla figura della Serrano, sgusciando dalle corde e piazzando efficaci combinazioni. La decima e ultima ripresa è incredibile per volume e intensità degli scambi tra le due, che chiudono a centro ring in un turbinio di diretti e ganci che spesso trovano il bersaglio, tra le ovazioni di una folla in trance quasi mistica.

Il gong mette fine a uno di quegli incontri che vorresti non finissero mai, con le due atlete esauste e un clima di grande incertezza in merito ai cartellini dei giudici. Che premiano Katie Taylor forse un po’ troppo generosamente: 97-93 e 96-93, contro il 96-94 a favore di Amanda del terzo cartellino. Poco male: Amanda Serrano e Katie Taylor si abbracciano sorridenti, poi la prima esplode:“Ma avete visto? Avete visto tutto questo pubblico? Tutto per un match tra due donne. Avete mai visto una cosa del genere?”. No Amanda, non l’ avevo mai vista. Giù il cappello, ma adesso per favore fate presto con la rivincita, che già non vedo l’ ora.

A completare la fantastica notte del Madison Square Garden, due incontri per lunghi tratti entusiasmanti. Nel primo, l’arcigna Franchon Crews-Dezurn (8-1, protetta della grande Claressa Shields) si è aggiudicata il titolo anche qui undisputed dei supermedi femminili di tutte le sigle battendo nettamente ai punti la svedese Elin Cederroos (8-1). Nel secondo (superwelter, nessun titolo mondiale in palio) lo stagionato anglo/irlandese Liam ‘Beefy’ Smith (30-3-1) si è imposto un po’ a sorpresa sul favorito Jessie Vargas (29-3-2) per KOT al 41” del decimo round. Smith aveva annunciato il match come l’ ultimo – forse – della sua carriera, ma dopo questa brillante affermazione dubito fortemente sia così.

Nel frattempo, al MGM Grand di Las Vegas il match per le cinture WBO, WBC e Ring Magazine dei leggeri junior tra il messicano Oscar Valdez (30-1) e il predestinato statunitense Shakur Stevenson (18-0) era di quelli attesissimi. Di un’attesa che spesso tradisce le aspettative, che mai come in questo caso non si sa quali fossero, visto quanto mostrato sul ring. Premesso che sono conquistato da tempo dallo stile e dall’ efficacia di Stevenson – che se non si perderà per strada avrà davanti una carriera formidabile – devo ammettere di essere rimasto basito di fronte a Oscar Valdez, allenato dal team Canelo e dal record immacolato che mi spiego a stento. Vero, Shakur è un talento che non incontri tutti i giorni, ma la masterclass che va in scena al MGM Grand per la gioia di Bob Arum (che con Stevenson pesca l’ ennesimo jolly) si rivela imbarazzante in ogni senso, nonostante un pubblico foltissimo quasi tutto per Valdez e un KD al sesto round ai danni di quest’ ultimo che non c’è (il messicano perde l’ equilibrio e non è da contare).

La schiacciante superiorità di Shakur e la sua perizia pugilistica al limite del scientifico rendono il match paradossalmente noioso, sicuramente oltre le migliori intenzioni sia di Top Rank che dello stesso Stevenson. Il quale a fine match dà stura alla sua verve: “Avevo detto che avrei battuto sia Valdez che Eddie Reynoso e Canelo Alvarez, ovvero tutto il suo team”, prima di mettere in scena sul ring una penosa proposta di nozze alla sua fidanzata con tanto di anello, più o meno come fatto dal nostro Mattia Faraoni tempo fa dopo la conquista del titolo italiano. Ma a Mattia concediamo questo ed altro, a Shakur Stevenson no. Anche perché sono scene che fanno a cazzotti con un acume che gli aveva fatto affermare prima del match: “Sono il migliore, ma non pound for pound”. Mica poco, coi tempi che corrono.

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