Il sudore di Kell Brook

21 Febbraio 2022 di Glezos

Amir Khan ce l’aveva scritto in faccia. Una di quelle facce che dicono più del linguaggio fisico, e molto più di un campanello d’allarme. Riallineando fatti, dichiarazioni e umori vari alla vigilia di un match atteso come pochi – nonostante gli zero tituli in palio – le perplessità venivano giù a valanga: cosa aspettarsi da un incontro grudge fuori tempo massimo tra due quasi ex glorie del pugilato british? Perché ancora questa attesa e tutto questo odio reciproco?

Va bene le questioni personali e ancora meglio quelle tecniche, ma cosa potevano aggiungere la star mediatica Amir Khan e il perenne underdog Kell Brook alle loro linee parallele destinate a non incrociarsi fino all’irrompere di Ben Shalom, che si mette in testa di organizzare un match evitato accuratamente da entrambi anni e anni fa? Aggiunta zero, senza nemmeno la scusa de “il panorama pugilistico del 2022 non offre di meglio” (lo offre, eccome se lo offre). Provocazioni, boutade e tensioni tirate per i capelli a uso televisivo (le due puntate di On The Ropes, in questo caso) non cambiavano la morale: quello in scena alla Manchester Arena si presentava come il classico incontro da “meglio tardi che mai”, e la cosa non è che promettesse sfracelli.

Eppure. Più si avvicinava l’ora X più le schiere degli scettici si assottigliavano, l’attesa montava e alla fine l’hype ha mietuto vittime, aiutato dalle due puntate dello speciale tv. Nel quale i due team fanno il loro per dare la stura a punzecchiature e ceffoni mediatici puntualmente sfociati nella conferenza stampa finale. Se un coach imponente – anche nel girovita – come BoMac trasferisce l’entourage di Terence Bud Crawford al servizio di Amir ‘King’ Khan (sconfitto per KO proprio da Crawford due anni or sono in quella che sembrava la sua ultima chance), Brook cementa la liaison col suo allenatore Dominic Ingle anche davanti alle telecamere, anzi di più: in una scena Ingle arriva a bere in una sorsata il sudore di Kell Brook strizzato direttamente da una sua maglia in una pinta. “Era buono il sudore?”, gli chiede Amir nella conferenza stampa, sottovalutando il ghigno di risposta del coach di Brook.

In un eccesso di self confidence, Amir Khan rilancia di continuo: “Sono sempre stato la sua ossessione”; “In tutta la carriera Kell non ha fatto altro che guardare a me”; “Devo essere sul serio un suo probema irrisolto”; “Non può battermi, gli sono troppo superiore sotto ogni aspetto” e via di questo passo. Brook è più asciutto: “Vedrete come lo risolverò sul ring, il problema. Perdere con lui sarebbe roba da andare a capo chino per anni dalla vergogna”. Dominic Ingle chiosa profetico: “Sono davvero sorpreso che Amir Khan abbia accettato questo match. Fossi in lui non l’ avrei fatto, ha tutto da perdere”. Amir lo fissa con una faccia inespressiva, di quell’ inespressività che rivelerà a giochi fatti il vero significato.

La velocità di Khan contro il timing di Brook: il tema rimbalza tra André Ward e Joe Tessitore, che commentano in diretta dagli USA. Tim Bradley Jr. si spinge in là: “Crawford ha messo KO Brook con un jab, e sottolineo un jab. Amir Khan non avrà una grandissima potenza, ma è troppo veloce per Brook. Vincerà facile per KO”.

I due si ritrovano finalmente sul ring in una Manchester Arena survoltata (20.000 biglietti bruciati in un’ora all’ annuncio ufficiale del match). Il clima rovente è a favore di Amir Khan (34-5) – accompagnato sul ring da Crawford -, ma gli occhi di Kell Brook (39-3) dicono che il pubblico non sale sul quadrato (e per sua fortuna nemmeno Crawford, che – vedi sopra – l’ha battuto per KO nel novembre 2020).

Il match si delinea fin dal suono della prima campana, con Brook che si prende il centro del ring e Khan che gli gira attorno con una mobilità di tronco scomposta e quasi forzata. In più, quando Amir porta il jab sinistro abbassa pericolosamente il destro aprendo una voragine al sinistro dell’avversario. Brook, che di soprannome fa The Special One (si spera più di quello degli zero tituli in vacanza a Roma) è meno mobile, concentratissimo e dà l’impressione di cercare fin dall’ inizio il colpo da KO. Lo trova quasi verso la fine del primo round con – guarda un po’ – un jab sinistro, e sottolineo un jab: come la mettiamo con le previsioni, Tim Bradley Jr.?

È ciò che vedremo per cinque riprese, che metteranno in mostra un Kell Brook in palla e in totale controllo contro un Amir Khan spaesato, goffo, quasi sempre a vuoto e senza la minima idea di come poter contrastare il tranquillo carrarmato che ha davanti. Il quale, mai in difficoltà, si prende i suoi tempi in attesa del colpo che ponga fine all’ assedio. All’angolo di Khan, BoMac non sa più come pungolare il suo pugile né dove voltarsi. Si volterà dall’altra parte al 51esimo secondo del sesto round, quando l’arbitro fermerà il povero Amir da una punizione molto più severa di quanto si immaginasse lui per primo.

La legittima esultanza di Brook e di Ingle – che dopo avere bevuto il suo sudore in tv si issa Kell sulle spalle a centro ring – è inaspettatamente composta: vuoi l’età, vuoi il momentum sfumato anni fa, l’ impressione è quella di una recita a soggetto trascesa nel personale sotto il segno della sterlina. Tutto legittimo, come i sorrisi e gli abbracci tra i due a fine match, in apparente contrasto con minacce, fulmini e maledizioni tipiche di ogni vigilia che si rispetti.

A diretta conclusa ripenso a una scena più che profetica dello speciale On The Ropes. In palestra, BoMac rimprovera Amir Khan: “Attento. Quando porti il jab abbassi il destro: così facendo anche Stevie Wonder ti contrerebbe col gancio sinistro”.  Mi torna in mente una scena dal film Lenny, con Dustin Hoffman nei panni del grande Lenny Bruce in uno dei suoi celebri monologhi (tradotto malissimo nel doppiaggio italiano): “Non ho mai creduto alle marce per la pace: cammini, cammini, e alla fine cosa succede? Ray Charles che cozza contro il piccolo Stevie Wonder, tutte le volte”. Ad Amir Khan I Just Called To Say I Love You l’ ha cantata Kell Brook, che ci vede ancora benissimo.  

 

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