Il sangue di Beterbiev

21 Dicembre 2021 di Glezos

Seconda parte della mia chiacchierata natalizia con Carmine Loru, anima e corpo di P4P, ovvero il podcast pugilistico più stimolante che YouTube abbia la fortuna di ospitare. Con riassunto finale di alcuni tra gli incontri di cartello degli ultimi giorni, a partire dall’ atteso Beterbiev-Browne, al quale P4P ha dedicato la puntata #95 parlando di noi in apertura

 

– Come trovi il trattamento della boxe su blog, siti e pagine YT in Italia e all’estero?

Carmine Loru: All’estero c’è di tutto e di più. Quindi non è difficile trovare contenuti di altissima qualità, mentre in Italia la situazione è più caotica. In generale nello scritto, specialmente nell’informazione indipendente, trovo ci sia un patina di passatismo stucchevole, ma mi rendo conto che il business della nostalgia in Italia abbia attecchito meglio che altrove, e questo in diversi campi: probabilmente è normale in un paese che ha visto giorni migliori sotto tanti punti di vista e dove si è quasi sempre guardato indietro piuttosto che avanti. Non sai quanti commenti riceva sul fatto che i pugili di un tempo fossero migliori di quelli di oggi, per non parlare della tematica sempreverde della ‘morte’ della boxe, come se quello contemporaneo non fosse nemmeno lo stesso sport. Passatista è anche la retorica eroica, epica, che si utilizza spesso per parlarne, ma ad esempio anche il ciclismo ha lo stesso problema, ahimè, quindi ho dovuto sviluppare gli anticorpi per poter sopportare questo tipo di linguaggio datato e barboso. Ma ovviamente c’è chi si differenzia. Per esempio Armando Morales su Vita Da Pugili fa un lavoro lodevole in termini di informazione per quella che credo sia la più grande community pugilistica su Facebook. Dall’altro lato dello spettro ci sono i media generalisti, come Gazzetta dello Sport o Repubblica, che di pugilato parlano raramente e male, ma non si fanno scappare le notiziole di gossip che coinvolgono questo o quel grande nome del passato, come Mike Tyson o Floyd Mayweather. Su YouTube non siamo in tanti ad occuparci di boxe, ma pressoché tutti i canali che lo fanno hanno molti più follower di me. Forse pago il fatto di non essere uno YouTuber vero e proprio, ma alla fine a me interessa parlare solo ed esclusivamente di boxe e non di me stesso, o forse è semplicemente un problema di linguaggio. Ammiro i risultati di canali messi su da giovanissimi come Erwin FightAppeal e TAOD, che coprono le MMA oltre che la boxe, ma personalmente ho serie difficoltà a seguirli, presumo per motivi generazionali. Ma devo dire che anche Simone Cicalone e Boxelive.it, che probabilmente sono persino più vecchi di me anagraficamente parlando, hanno un eclettismo che non è nelle mie corde. Direi che solo il canale del Consigliere della Boxe ha una certa affinità col mio, sia nei modi che nei contenuti. Spesso abbiamo opinioni differenti, ma apprezzo molto la sua competenza. Insomma ce n’è per tutti i gusti, per rispondere alla tua domanda.

– Quanto lavoro c’è dietro ad ogni puntata?

CL: Dipende. Quelle esclusivamente d’attualità vengono concepite, registrate ed editate in un batter d’occhio. O almeno il poco tempo che mi ci vuole per registrarle, mandarle al mio socio, Giovanni, che si occupa di impacchettarle e renderle più gradevoli dal punto di vista audiovisivo. Quelle di più ampio respiro, di tema storico, chiaramente richiedono più ricerca e sono spesso confezionate con maggior cura. Ce n’è una in particolare, intitolata Que Viva Mexico (la #38), dedicata agli eroi del ‘boxeo’ messicano, alla quale sono specialmente affezionato. Ad ogni modo, se pensi che siamo quasi a 100 puntate in neanche un intero anno solare, direi che il processo è piuttosto snello.

– Come, dove e quando è nata la tua passione per la boxe?

CL: Sono nato e cresciuto ad Alghero, patria di Salvatore Burruni, che è stato tra le altre cose l’ultimo campione del mondo indiscusso dei pesi mosca, quindi il pugilato l’ho respirato sin da ragazzino, quando Burruni ancora insegnava nella sua palestra in città. Per la generazione dei miei genitori la boxe era probabilmente lo sport per antonomasia, quindi anche in casa e nei bar se ne parlava spesso. Oltre a Burruni, negli anni ‘60 un altro sardo, Fernando Atzori, si era laureato campione olimpico e due figli di emigrati come Duilio Loi e Nicolino Locche avevano conquistato a loro volta dei titoli mondiali. Per la mia generazione erano ricordi lontani, ma il tempo scorre in maniera differente in Sardegna: in un certo senso stiamo ancora festeggiando lo scudetto del ‘70. Una volta che un’impresa di quel calibro si realizza vive nell’eterno presente dell’immaginario collettivo di un popolo che ha gioito molto poco nella propria storia.

– Pratichi o hai praticato il pugilato in prima persona?

CL: No, non lo pratico né l’ho mai praticato. Ho avuto un cancro all’età di 13 anni e, sebbene lo abbia sconfitto per KO dopo una lunga battaglia, tutte le mie velleità sportive sono state archiviate in quel momento, visto che la mia salute non è mai stata più la stessa. In quegli anni il mio mito sportivo assoluto era Miguel Induráin, comunque. Quindi, se le mie condizioni fisiche me lo avessero permesso, credo che avrei cercato di trionfare al Tour de France piuttosto che farmi prendere a cazzotti in faccia. Nel podcast si vede spesso sullo sfondo la mia splendida Colnago Tecnos, un regalo di mio suocero al quale sono attaccatissimo, e in qualche puntata ho tirato dentro anche il ciclismo. Mi ricordo che, in quella dedicata al giovane Daniel Dubois (#44), ho paragonato il Bernard Hinault della Liegi-Bastogne-Liegi del 1980 a un pugile che non vuole mollare nonostante le ferite e le fratture. Ciclismo e pugilato in un certo senso si assomigliano. Sono due discipline estreme, che richiedono una preparazione assurda e tanta sofferenza: due sport che non si ‘giocano’, per dirla con Sugar Ray Leonard.

– Il film/libro/disco del cuore in orbita pugilistica.

CL: Per quanto riguarda il cinema, sicuramente ‘Toro Scatenato’. Nel periodo compreso tra ‘Mean Streets’ e ‘Quei Bravi Ragazzi’ Scorsese ha raramente sbagliato un colpo. Neanche dopo, a dire il vero. In tempi più recenti mi è piaciuto molto ‘The Fighter’, ispirato alla vita di Micky Ward e del suo fratellastro Dicky Eklund, con un Christian Bale formidabile. Anche ‘The Boxer’, ambientato nella Belfast dei ‘Troubles’, avrà sempre un posticino nel mio cuore, anche solo perché Daniel Day Lewis è uno dei miei attori preferiti di tutti i tempi pound for pound. Sui libri non saprei da dove iniziare. Da grandissimo fan di Muhammad Ali, ‘The Fight’ di Norman Mailer è probabilmente quello a cui sono più affezionato, ma non posso non citare anche ‘The Sweet Science’ di A.J. Liebling e ‘Shadow Box’ di George Plimpton, che addirittura condivise il ring con Archie Moore per capire meglio l’argomento. Le pagine di Joyce Carol Oates su Mike Tyson, poi, dovrebbero essere parte del programma di letteratura nelle scuole superiori, per quanto mi riguarda. Parlando di musica, ‘Hurricane’ di Bob Dylan è senza ombra di dubbio la più bella canzone mai scritta sul tema, ma se parliamo di disco del cuore, non può che essere ‘Ghosts Of The Great Highway’ di Sun Kil Moon, il cui nome è di per sé una sorta di gioco di parole sul nome del pugile koreano Moon-sung Kil. Tre delle canzoni sul disco hanno come titolo il nome di pugili morti prematuramente, ovvero il filippino Pancho Villa, il leggendario Salvador Sanchez e Duk-koo Kim, che per un’ovvia associazione mi fa venire in mente anche la ‘Boom Boom Mancini’ di Warren Zevon. Per finire, sebbene odi i Greatest Hits, mi viene in mente quello di una band che ho amato molto durante la mia adolescenza, gli Alice in Chains, che in copertina ha una splendida foto del volto di Gene Fullmer deformato da un destro devastante. Una cosa che ho sempre percepito non solo come una metafora della potenza del gruppo, ma anche della sofferenza che quella musica veicola. Gene Fullmer è un campione di cui si è persa un pochino la memoria, ma quanti sono quelli che possono vantare non una bensì due vittorie su Sugar Ray Robinson e Carmen Basilio?

– La tua giornata-tipo quando è in programma un match importante.

CL: Mi piacerebbe dirti che faccio yoga al mattino e passo una giornata rilassante per essere riposatissimo quando arriva il momento dell’incontro, ma non ho una routine precisa. Anzi, spesso nel weekend esco e faccio tardi, quindi mi ritrovo ad andare a letto per due o tre ore prima del match. Però, se solitamente sono uno che si sveglia molto lentamente, quando mi alzo per il pugilato mi sveglio con un fuoco nello stomaco che sembra quasi debba essere io a dover salire sul ring.

– Il tuo pugile/i tuoi pugili preferiti pound for pound di tutti i tempi.

CL: Il numero uno per me è Sugar Ray Robinson. Il fatto che l’espressione ‘pound for pound’ fu coniata per lui la dice lunga sul suo lascito nel nostro sport. P4P è stato chiamato così in suo onore e anche la corona reale nel nostro logo è stata rubata dall’opera di Jean-Michel Basquiat dedicata a Robinson. Era un pugile incredibile: boxava dietro al jab, come da manuale, ma aveva momenti di attività in cui portava combinazioni per niente ortodosse, momenti in cui decideva di combattere sulla brevissima distanza e altri ancora in cui si accontentava di essere un counterpuncher. Sapeva far tutto, aveva il colpo da KO in entrambe le mani e un istinto killer assurdo. Sul podio dietro di lui ci metterei Muhammad Ali e probabilmente Henry Armstrong. Da un punto di vista puramente personale ho sempre adorato la boxe di Thomas Hearns. Il modo in cui ha spazzato via Pipino Cuevas e Roberto Duran e la foga con cui è salito sul ring contro Marvin Hagler la dicono lunga su che tipo di pugile fosse. Come si fa a non amarlo? Anche dal punto di vista storico, il lascito della Kronk Gym di Detroit è incredibile, se si pensa che il nipote di Emmanuel Steward, Sugar Hill, è stato l’artefice del cambiamento radicale dello stile di Tyson Fury, che è forse il mio pugile preferito di questi ultimi anni. Mi piace vedere un filo rosso che unisce The Gypsy King e The Hitman, la campagna di Manchester e la capitale del Michigan, che era anche la città dello stesso Robinson e del grandissimo Joe Louis. Roy Jones Jr, con quel suo atletismo esplosivo e quei riflessi felini, è invece il pugile che ho amato di più tra quelli della mia generazione. Era una meraviglia per gli occhi. Se si fosse ritirato nel 2003, la sua sarebbe stata una carriera perfetta.

– La tua più grande emozione in ambito pugilistico.

CL: Te ne dico due. In tempi recenti la vittoria di Fury su Klitschko, che chiuse quella che è stata un’era in cui io stesso mi ero allontanato un poco dallo sport, ma in termini assoluti ti direi la sconfitta di Mike Tyson a Tokyo contro Buster Douglas. Avevo solo 9 anni al tempo e Iron Mike era un supereroe invincibile. Chiunque lo ammirava e non c’era nessun tabù nell’inserire il suo nome accanto a quelli di Ali, Frazier, Marciano, Louis, i più grandi. Vederlo finire al tappeto fu uno shock, ma anche un insegnamento di vita importante. Fu un peccato che Douglas non fu capace di costruire qualcosa su quella vittoria. Lo stesso Tyson, al netto dei successi al ritorno sul ring a metà anni ‘90, una volta persa quell’aura di invincibilità, non fu mai più quella forza distruttrice che abbiamo visto negli anni ‘80. Ora come ora, non so se finirebbe nemmeno nella mia Top10 dei pesi massimi di ogni tempo, ma sono sicuro che ‘prime for prime’ se la giocherebbe alla pari contro chiunque.

– Segui il pugilato femminile?

CL: Naturalmente. Con la stessa passione con cui seguo quello maschile. Non ne parlo altrettanto spesso perchè il nostro pubblico non sembra gradire allo stesso modo, ma abbiamo comunque fatto sei puntate interamente dedicate al pugilato femminile, parlando di Claressa Shields (#15), Katie Taylor (#35), Seniesa Estrada (#55), Ebanie Bridges (#65) e Mikaela Mayer (#83), tra le altre. Subito dopo i giochi olimpici un intero episodio, intitolato Sorelle d’Italia (#63), l’ho dedicato alle migliori professioniste italiane di sempre, nella speranza che la Testa, la Nicoli e la Carini possano fare un giorno la stessa scelta e rilanciare il movimento italiano. E’ un ottimo momento per il pugilato femminile negli States come in UK e il prossimo anno sembra sempre più plausibile che vedremo affrontarsi alcune delle stelle più brillanti del firmamento contemporaneo. Dei match come Shields-Marshall e Taylor-Serrano non potranno che avere una visibilità enorme e ripercussioni positive sull’intero mondo della boxe, non solo femminile.

– Sei felice?

CL: E’ difficile essere felice nel mondo moderno, non trovi? Ma io sì, lo sono. Sono relativamente in forze, vivo in un posto che adoro, sono circondato di amici e ho al mio fianco una donna meravigliosa che mi sopporta e mi supporta in tutte le mie pazzie da diversi anni. Non mi manca niente, se non alcune persone che non ci sono più. Ma ne mantengo sempre vivo il ricordo, quindi anche loro mi sono sempre accanto.

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Veniamo all’ attualità. Ricordate il pattinatore su ghiaccio che da ultimo taglia il traguardo vincitore grazie alla caduta di tutti quelli che gli stavano davanti? Più o meno il rischio corso venerdì scorso a Montreal dal granitico Artur Beterbiev (17-0) contro lo sfidante a stelle e strisce Marcus Browne (24-2) per i titoli IBF e WBC dei mediomassimi. Dopo un paio di riprese di studio, il russo inizia un’ opera di demolizione che minaccia di arrestarsi al quinto round dopo la testata che gli apre una bruttissima ferita in piena fronte. Il corollario di copiosi sanguinamenti non promette nulla di buono per il campione in carica, accompagnato all’ angolo dal gelido “Un altro round, poi stop”  del medico. Che però insieme all’arbitro permette alla maschera di sangue di Beterbiev di arrivare alla 9a, quando le combinazioni del russo si abbattono sul povero Browne mandandolo al tappeto per il conteggio finale nel visibilio del pubblico. Senza scomodare il naso di Rocky Marciano nell’ incontro con Ezzard Charles, l’ ombra di Beterbiev si proietta sui soliti noti. Inizia la caccia a Canelo?

Nel sottoclou la canadese Marie Eve Dicaire (19-1) ha fatto suo il titolo vacante dei superwelter IBF contro la volenterosa messicana Cynthia ‘Canelita’ Lozano (10), dominando l’ incontro il lungo e in largo con KO tecnico al 7° round.

Epilogo evitato alla Manchester Arena da Dereck Chisora (32-12), contato tre volte (4a, 7a e 8° ripresa) ma che dopo 12 riprese di grande cuore britannico riesce a concludere in piedi la rivincita con l’ australiano Joseph Parker (30-2) nella tenzone che ha assegnato a quest’ ultimo il titolo Intercontinentale dei massimi WBO. Buon Natale a tutti!

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