La mamma di Canelo Alvarez

8 Novembre 2021 di Glezos

Era cominciata con la mamma, e con la mamma è finita. Il duello rusticano per l’ unificazione dei quattro titoli mondiali dei supermedi tra Canelo Alvarez e Caleb ‘Sweet Hands’ Plant si era srotolato fin dalla conferenza stampa di fine settembre sotto la mannaia del complesso di Edipo, suggellato da tre errori marchiani di Caleb. Primo: va bene, ti chiami Plant come Robert, ma davanti al microfono non metterla sul personale nel tentativo di far salire ulteriormente gli incassi del Pay Per View. Secondo: mai pronunciare la parola “mother” sotto il naso del tipo sbagliato. Terzo: se poi ci aggiungi “fucker” ecco che i guai che cercavi li hai trovati. “Questo lo gonfio”, pensava Saul Il Rosso nel darti un paio di manate davanti ai media ferendoti sotto l’ occhio come aperitivo, che se poi sul ring s’ incazza davvero puoi solo sperare in un suo improbabile calo di forma o in una serata storta. Nel frattempo, Caleb, prepara un mento a prova di muro.

Detto, fatto. Eppure i presupposti non erano del tutto contrari a Mani Dolci Plant, nonostante le quote fossero tutt’ altro che a suo favore: con cotanto cognome, venire quotato a 7,00 con pareggio a 26,00 – con Canelo a 1,10 – non è esattamente una scalinata verso il Paradiso. Più che la sua baldanza mi stupiva quella di alcuni osservatori americani, che in barba ai pronostici davano Caleb Hunter Plant vincitore (Tha Boxing Voice su tutti), tirando in ballo la sua fame, abilità a contrare, allungo e mobilità. Tutto vero, come autentica era e resta la dimensione del fino a ieri imbattuto 29enne del Tennessee: il titolo dei supermedi IBF conquistato un po’ a sorpresa due anni fa ai danni di Jose Uzcategui e le successive tre difese a ricompensa di un’ infanzia difficile, la boxe unica via di fuga da un futuro da white trash e la tragica scomparsa della figlioletta in tenerissima età, tutte cose che impongono silenzio e rispetto.

Il suo record notevole di 21-0 non era il biglietto da visita di un picchiatore (12 KO, 57.14%) contro il roboante 56-1-2 di Saul Canelo Alvarez, condito da 38 KO (64.41%). Eppure il credito riscosso da Plant nel cammino di avvicinamento al match restava alto da farmi aggrottare le sopracciglia in più di un’occasione, ad esempio nelle due puntate video All Access confezionate da Showtime con l’ usuale scaltrezza. Risultato: in patria più l’ incontro si avvicinava più le quotazioni di Caleb salivano, mentre da noi restavano uguali. Tra i proclami di Plant (“Sono abituato ad avere tutti contro, mi piace”) e la risoluta calma di Canelo (“E’ una questione personale”), la blanda conferenza stampa finale a Las Vegas e le operazioni di peso stemperavano via via il clima da rissa ad un più morbido regolamento di conti.

Fin dall’ ingresso sul ring la disparità tra i due è evidente, a partire dai dettagli. L’ intro musicale voluto da Caleb con voce di Muhammad Ali (“Vi farò vedere quanto sono grande!”) è scelta infelice. Al suo fianco Conway The Machine si lancia in una tirata hip hop che malissimo si addice a un Plant spaesato, con un suono confuso e incomprensibile da infastidire anche l’ orecchio più allenato al caos. Fischi e ululati dei 16.000 presenti schierati a muraglia con Canelo, accompagnato da Fehr Olivera dei Mana (rock band messicana di grandissimo successo) e accolto con tutta la devozione del caso: sul cartellino c’ è già un punto per lui.

Pronti, via ed è tutto già scritto. Caleb Plant parte bene, i 10 centimetri in più di allungo tengono lontano Canelo, che nei primi tre round fatica ad aggiustare tempo e distanza. Adesso Plant mette dentro qualche colpo, pensi, invece niente, lui continua col suo jab. Dalla quarta ripresa Alvarez inizia a pressare: niente di che, ma tutto secondo i piani dettati da Eddy Reynoso: nessuna fretta, parti tranquillo, trova il tempo e chiudi nelle ultime riprese. Quinta ripresa, e i colpi al corpo di Alvarez cominciano a far male: Plant continua imperterrito col jab, qui e là abbassa la testa di Canelo e gli blocca il sinistro col suo quasi-clinch. Caleb Plant si ferma qui: da mani a piedi dolci a volte è questione di un attimo, e viene giù tutto. Dal sesto round in poi Canelo trova il passo e inizia un’ opera di demolizione lenta, dato che stenta ancora a partire col gancio sinistro (teme di essere contrato dal destro di Plant?). Il KO da lui pronosticato per l’ ottavo round non ci sarà: arriverà al minuto 1’:05” di tre round dopo, col primo knock down causato dalla combinazione gancio sinistro-montante destro e quello definitivo con una serie conclusa dal diretto destro.

L’ immagine di Plant esausto che tenta di rialzarsi dopo il primo KD barcollando per il ring e la sua espressione smarrita fanno quasi male. Come puoi vincere un match di questa importanza affidandoti solo al jab contro la pressione sfiancante di Saul Canelo Alvarez? A cinque minuti da una dignitosa larga sconfitta ai punti Caleb Hunter Plant non ha retto: tutto troppo per un ottimo pugile difensivo probabilmente sopravvalutato, nonostante il record. E mi torna in mente un video visto di recente su YouTube, che esponeva in tempi non sospetti i punti deboli di Caleb Plant, evidenziati paradossalmente proprio nel match che gli aveva regalato il titolo IBF. Scriverne a posteriori è gratis, ma sono cose che fanno pensare.

 

I titoli di coda tutti baci e abbracci tra i due, con le scuse di Caleb a Canelo (“Avrei voluto continuare, scusami per le mie parole, non volevo offendere tua madre, io non ne ho mai avuta una”) rimuovono la mannaia del complesso di Edipo e azzerano i conti. Il futuro, Benavitez, Canelo-Golovkin III e il salire di peso aspetteranno qualche mese: maggio secondo Saul Alvarez, dicembre per i bene informati. Per Caleb Plant è il momento della riflessione, magari rivedendo ogni tanto le immagini del suo unico incontro finito male. Che era già andato in scena con lo stesso risultato nella conferenza stampa dello scorso settembre: Saul che mormora “Non sei a questo livello”, Plant a vuoto, due manate di Canelo e tutto a posto. Mamma compresa.

(Prima puntata di Kolpo basso, in cui ogni lunedì parleremo di boxe e dintorni: a volte boxe, a volte dintorni)

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