Kota Radja, il cinese di casa nostra

26 Gennaio 2019 di Stefano Olivari

Dalla metà degli anni Ottanta ad oggi il Kota Radja è una delle poche nostre certezze, quando si parla di ristoranti cinesi a Milano. Ha resistito anche all’assurda introduzione del sushi, che peraltro fa molto bene, ma soprattutto alle perquisizioni dei NAS che raramente trovano in regola i ristoranti cosiddetti etnici. In decine, anzi centinaia (almeno una volta al mese per oltre trent’anni…) di volte in cui siamo stati al Kota Radja non abbiamo mai avuto problemi di alcun tipo e nel corso del tempo è anche migliorato il sistema di aerazione, al punto di uscire da lì quasi senza sapere di fritto: una vera rarità e non solo nei posti cinesi. Incredibile che i gestori dei locali, ci riferiamo anche agli italiani, non capiscano l’importanza dell’odore che lasciano addosso. Il Kota Radja (traduzione: Casa del re) è da sempre in Piazzale Baracca, in una zona con relativamente pochi ristoranti e ancor meno ristoranti cinesi: non c’è quindi necessità stretta di livellarsi verso il basso, inseguendo chi pretende con 7 euro di mangiare dall’antipasto al dessert. La clientela è quindi in parte di zona ma anche in gran parte no, si tratta di uno dei pochi cinesi medi (quelli fighetti giocano in un altro campionato), ci viene da dire l’unico, in cui abbia senso venire apposta e noi lo abbiamo sempre fatto anche quando abitavamo lontano da lì. Non esiste comunque una clientela tipo, ma colpisce favorevolmente la visione di tavoli di sole donne: uno degli indicatori di qualità di un posto, senza se e senza ma. Mai visti tamarri, nonostante in teoria i prezzi modici possano attirarli, pochissimi i vecchi (si sa che il cinese non si digerisce, vuoi mettere il brasato con la polenta?), mentre ci sono parecchie famiglie e coppie. Almeno in un paio di casi verificati, lo diciamo da origliatori compulsivi, coppie al primo appuntamento post Tinder.

Ma veniamo a cosa si mangia, al di là dei menu già strutturati che sono consigliabili soltanto quando si esce con qualcuno con cui si ha poca confidenza (il lui-la lei di Tinder, per dire), tanto per coordinarsi senza troppe discussioni. L’involtino primavera del Kota Radja è di una pasta molto morbida, senz’altro è l’antipasto che preferiamo insieme ai ravioli al vapore (nella versione gamberetti) e agli shao-mai (che poi sarebbero anche loro ravioli al vapore, solo più piccoli) con ripieno misto. Proprio gli shao-mai, tipici della Cina del Sud, mostrano che al Kota Radja tutto è sì italianizzato, come è logico (si cucina per i clienti), ma prendendo da varie zone della Cina: le zuppe sono di impronta pechinese (quindi del Nord), l’anatra è proposta nella versione cantonese, pechinese e anche in quella del Chekiang (a Est, la provincia dove c’è Hangzhou), il maiale è meridionale (in alcune versioni sembra quasi indonesiano), eccetera. Fra l’altro le diverse contaminazioni non dipendono da una politica studiata a tavolino, ma dal fatto che l’immigrazione cinese a Milano ha avuto varie ondate (la prima di inizio Novecento, la prima sostanziale negli anni Trenta), da provincie diverse, e quindi come accade per molti ristoranti italiani all’estero, si propone una cucina nazionale che in realtà nel paese di origine non esiste.

Il menu è sterminato, cosa che di solito non ci piace, e proprio per questo riteniamo gli spin-off giapponesi e indonesiani privi di senso. Fra i primi, continuiamo ad esprimerci in italiano anche se poi ti portano tutto quasi in contemporanea, da urlo i sottili gnocchi cinesi saltati con verdure, molto bene gli spaghetti di riso in tutte le loro declinazioni e consigliabile il riso cantonese con gamberi. Fra quelli che nella nostra testa di bambini anni Settanta sono secondi, molto particolare è il Tau-fu, una verdura ricavata da fagioli di soia, che si accompagna praticamente a tutto, buonissimi il pollo con le mandorle e quello con bambù e funghi (spesso abbiamo preso anche soltanto bambù e funghi), davvero da provare il maiale pangang con atjar: quell’agrodolce estremo che si ama (noi amiamo) o si odia. La chiusura, da sempre, è con il gelato al mandarino e l’asciugamano profumato e caldo che ti portano al momento del conto. Prendendo tutto, senza stare a fare calcoli, non abbiamo mai speso più di 30 euro. E mai abbiamo avuto problemi di digestione, di sonno o di sete. In sintesi: le circostanze, ci hanno portato a mangiare in decine di ristoranti cinesi a Milano, dalla nostra amata via Novara a Chinatown, ma solo al Kota Radja ci siamo trovati bene.

Kota Radja – Genere: cinese – Milano, piazzale Baracca 6 – CAP 20123, fermata MM1 Conciliazione – Telefono 02 468850 – Sito web: kotaradja.it Presenza più recente di Indiscreto: gennaio 2019 – Voto ambiente-qualità-prezzo: 8,5

LA CLASSIFICA DI ‘PAGANDO IL CONTO’ aggiornata al 26 gennaio 2019

  1. Oasi Giapponese (Giapponese): 9,5
  2. Joia (Vegetariano): 9
  3. Cracco (Bistrot): 9
  4. Kota Radja (Cinese): 8,5
  5. Osteria dei Mosaici (Pugliese):8
  6. Dawat (Indiano): 8
  7. Ta Hua (Cinese – Hong Kong): 8
  8. Denzel (Ebraico-Mediorientale): 7,5
  9. La Tirlindana (Lago – Sala Comacina): 7,5
  10. Cacio e pepe (Romano) : 7,5
  11. Le Vent du Nord (Belga): 7,5
  12. Al Matarel (Milanese): 7,5
  13. Antica Trattoria del Gallo (Lombardo – Gaggiano): 7
  14. A’ Riccione (Pesce): 7
  15. Al Sale Grosso (Pesce): 6,5
  16. Lievito Madre al Duomo (Pizza): 6,5
  17. Ba’Ghetto (Romano-Ebraico): 6,5
  18. Temakinho (Brasiliano-Giapponese): 6,5
  19. Pokeia (Hawaiano): 6,5
  20. Da Salvatore (Siciliano-Pesce): 6,5
  21. Lievità (Pizzeria): 6
  22. Rigolo (Toscano): 6
  23. Bottega sicula (Siciliano): 6

Le regole di ‘Pagando il conto’

1) Locali di Milano o al massimo a un’ora d’auto da Milano.
2) Non presentarsi mai come giornalisti.
3) Pagare sempre il conto, con i propri soldi, senza scaricare le spese su un’azienda o su altri.
4) Essere stati nei posti più di una volta, possibilmente in epoche diverse.
5) Confrontare posti di livello, ambizioni, prezzi e clientela anche molto diversi, dando un giudizio che tenga conto di tutto. La domanda da porsi è la seguente: “Dove andrei stasera a cena, sapendo di dover morire domani mattina?”.
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