Al Matarel, la ricerca della Milano perduta

9 Dicembre 2018 di Stefano Olivari

Andando per l’ennesima volta al Matarel abbiamo pensato ai motivi per cui a Milano la cucina milanese non abbia mai goduto di troppa fortuna, visto che qui quasi nessuno vuole trovare al ristorante i piatti che gli cucinava la propria madre. Non sappiamo bene perché funzioni così e perché a Roma o a Firenze la gente la pensi diversamente, sappiamo soltanto che per molti è così e che i primi beneficiari di questa ideologia siano i ristoranti etnici e regionali-adattati, che da ormai vent’anni hanno soppiantato il vecchio oligopolio Toscana-Puglia. Cosa sta cambiando? Le madri, quando sono vive, sono sempre più anziane e poche donne più giovani hanno il tempo, la voglia e le capacità di proporre una cucina locale. Sono tutte (e tutti, non ci dimentichiamo delle degenerazioni maschili) chef e rivisistatori, ma quasi nessuna/o ha le basi. Per questo oggi il ristorante milanese ha secondo noi molto, moltissimo, più senso di ieri.

Scegliendo il Matarel andiamo sempre a colpo sicuro, un posto storico (c’è dall’agosto del 1958) che non ha perso in milanesità né in calore. Qualcuno copiando da ritagli sempre uguali lo associa pigramente agli anni d’oro di Craxi, che lo aveva eletto a suo posto preferito per le riunioni del lunedì sera, ma il Matarel è sempre stato in realtà un locale fuori dalle mode e dai giri giusti. Proprio per questo, paradossalmente, quelli dei giri giusti lo hanno sempre apprezzato, con Elide e Marco Comini (lui scomparso nel 2015) che, visti con i nostri occhi dagli anni Ottanta ad oggi, hanno sempre trattato allo stesso modo il presidente del Consiglio e il più sconosciuto fra gli sconosciuti. Aiutati da un personale di sala cortese ma sempre ben lontano dall’invadenza. ‘Al Matarel’ non ha quindi un vero cliente-tipo, ma di sicuro regala appena si entra un’atmosfera senza tempo, che va al di là dei piatti proposti. Che sono soprattutto quelli classici milanesi, in versione poi italianizzata: il risotto con l’ossobuco, la cassoeula, i dolci davvero di una volta come la torta di mele fatta solo di mele e la zuppa inglese. Non stiamo rivelando grandi verità, il locale è su tutte le guide ed essendo in corso Garibaldi può capitare di trovarci molti turisti.

Poco da dire sui piatti, quasi tutti eseguiti come vuole la tradizione a partire dal risotto con l’ossobuco: da prendere rigorosamente come piatto unico, ed anche in questo caso abbastanza difficile da terminare, l’oss buss cotto in gremolada (è un condimento a base di prezzemolo, aglio e limone) è un piatto abbastanza estremo, lo si ama o lo si odia. Un po’ come i rustin negàa, in italiano ‘arrostini annegati’, anche loro strettamente legati alla qualità della materia prima. Gli esperti di carne (noi la mangiamo soltanto per le recensioni di ‘Pagando il conto’) sono di solito entusiasti della qualità di quella del Matarel, noi per quanto riguarda l’ossobuco consigliamo di provarlo anche con la polenta, invece che con il solito risotto giallo. Personalmente Al Matarel se dobbiamo prendere un piatto di carne preferiamo però puntare sulla straclassica cotoletta, proposta nella versione bassa e con l’osso: perfetta. E straordinari i mondeghili (polpette di carne), che nei posti di serie B sono sconsigliabili ma che al Matarel si possono, anzi devono, prendere quando ci sono. Fra i piatti al di fuori della tradizione, abbiamo quando è stagione più volte apprezzato degli eccellenti porcini alla griglia, mentre i dolci sono prendibili soltanto limitandosi nelle portate precedenti.

Menu contenuto e coerente, segno di personalità e sicurezza in se stessi, così come l’assenza di un sito web. Un difetto del locale sono invece i tavoli troppo vicini, non tanto per la conversazione quanto perché non è simpatico che qualcuno ti guardi nel piatto o che tu guardi nel piatto di qualcuno. Un dettaglio, ma neppure troppo, è il modesto cestino del pane, con i grissini addirittura confezionati come negli autogrill: la prendiamo come una citazione degli anni Ottanta, quando i grissini erano solo torinesi, ma in questi casi la tradizione si può cambiare. Essendo a Milano sono assolutamente giustificati i 35 euro del piatto unico principe, l’ossobuco con il risotto, davvero oltre l’unione di primo e secondo, mentre i primi sono sui 16 euro, i secondi in media sui 25 e i dolci a 8. Di solito si esce spendendo 50 a testa: considerando la collocazione, la storia e la qualità rimasta costante nel tempo soldi ben spesi anche se non si è fanatici della cucina milanese: noi certo non lo siamo, pur amando Milano sopra a quasi ogni altra cosa. Ma il Matarel è uno di quei posti storici dove andare e soprattutto dove viene voglia di tornare.

Al Matarel – Genere: milanese – Milano, corso Garibaldi 75 – CAP 20121, fermata MM2 Moscova – Telefono 02 654204 – Orari: 12.00-14.30 e 19.00-22.30, chiuso martedì tutto il giorno e mercoledì a pranzo –  Facebook: Trattoria Al Matarel – Presenza più recente di Indiscreto: novembre 2018. Voto ambiente-qualità-prezzo: 7,5.

LE RECENSIONI DELLA NUOVA EDIZIONE DI ‘PAGANDO IL CONTO’
  1. Al Matarel (Milanese): 7,5
  2. Oasi Giapponese (Giapponese): 9,5
  3. Cracco (Bistrot): 9
  4. Da Salvatore (Siciliano-Pesce): 7
  5. Denzel (Ebraico-Mediorientale): 7,5
  6. Antica Trattoria del Gallo (Lombardo): 7
  7. Joia (Vegetariano): 8
  8. Mare Culturale Urbano (Pizzeria): 6
  9. Lievità (Pizzeria): 6
  10. Pokeia (Hawaiano): 6,5
  11. Osteria dei Mosaici (Pugliese): 8
  12. La Tirlindana (Pesce – Lago): 7,5
  13. Le Vent du Nord (Belga): 7,5
  14. Al Sale Grosso (Pesce): 6,5
  15. A’ Riccione (Pesce): 7
  16. Ta Hua (Cinese – Hong Kong): 8
  17. Cacio e pepe (Romano) : 7,5
  18. Dawat (Indiano): 8
  19. Bottega sicula (Siciliano): 6
  20. Lievito Madre al Duomo (Pizza): 6,5
  21. Vanilla Bakery (Brunch): 6,5
  22. L’Altro Eden (Ligure): 7
  23. Rigolo (Toscano): 6
  24. Ba’Ghetto (Romano-Ebraico): 6,5
  25. Temakinho (Brasiliano-Giapponese): 6,5
  26. Ten Grams (Tartufi): 6,5
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