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Cucina

Dietro le stelle, il lato oscuro della ristorazione italiana

Stefano Olivari 25/11/2022

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Come si fa a credere alle recensioni di un ristorante, in particolare di un ristorante stellato? La risposta di Valerio Massimo Visintin è semplice: non bisogna crederci, nella quasi totalità dei casi. Il suo ultimo libro, Dietro le stelle – Il lato oscuro della ristorazione italiana, da poco uscito per Mondadori e da noi letto avidamente, è un atto d’accusa contro il giornalismo enogastronomico ma anche contro il giornalismo italiano in generale visto che la scarsa credibilità deriva da un problema comune: tranne che in alcune grandi aziende editoriali, e anche lì sempre meno, chi scrive non viene pagato o viene pagato pochissimo, una decina di euro ad articolo anche in realtà insospettabili. Quindi può vivere di “giornalismo”, rigorosamente fra virgolette, soltanto grazie a consulenze e marchette di vario tipo con gli oggetti dei suoi articoli, cioè gli chef o i ristoranti che in teoria dovrebbe giudicare per i lettori.

Lettori che, come osserva Visintin, in gran parte non hanno gli strumenti critici per distinguere una marchetta da ufficio stampa da un articolo o post onesto. In questo senso il pubblico giovane, che si informa attraverso i social network, è molto peggio rispetto agli altri: non vede lo scandalo di un consulente del ristorante che su Instagram esalta il ristorante stesso, così come in altri settori non si chiede come mai i prodotti finanziari siano sempre interessanti, il mercato immobiliare sempre in ascesa, i film sempre geniali, i medici infallibili, le squadre di calcio costruite alla perfezione da dirigenti illuminati.

La credibilità di Visintin, questo lo diciamo noi (che non lo conosciamo, neppure per interposta persona) suoi lettori, deriva non tanto dall’essere noto come ‘Il critico mascherato’ (anche fra gli addetti ai lavori pochi sanno quale sia la sua faccia) o dallo scrivere sul Corriere della Sera, dove peraltro un po’ in tutte le pagine si trovano marchette incredibili, quanto dal presentarsi nei ristoranti in incognito e soprattutto dal pagare il conto (nel nostro piccolo abbiamo comprato questo libro, senza mendicarlo presso la casa editrice). Per questo i professionisti dei pranzi stampa o comunque gratis lo guardano con odio e a volte anche con scherno: questo modo di fare giornalismo è vecchio, oggi bisogna fare comunicazione, il giornalista è un imprenditore, eccetera.

Entrando nello specifico del libro, gli argomenti trattati sono così tanti che non vogliamo stilare un elenco e quindi ci limitiamo ad evidenziare quelli che ci hanno colpito maggiormente. Il più importante è quello sul mito dei grandi chef ed in generale della ristorazione, che ha subito un duro colpo dalla pandemia. Non per i mesi di chiusura ma perché molti hanno riflettuto sul fatto che lavorare 12 ore al giorno per 600 euro al mese o anche meno (più uno è grande più stagisti può sfruttare), pelando patate o servendo ai tavoli senza alcuna possibilità di carriera, in assenza di uno stipendio interessante sia assurdo. E il reddito di cittadinanza c’entra solo in minima parte, ma quand’anche c’entrasse non dovrebbe servire a favorire lo sfruttamento da parte dei furbi. Insomma, il mantra ‘I giovani non hanno voglia di lavorare’ nella ristorazione italiana è ingiustificato.

Avendone per lavoro conosciuti parecchi, Visintin smonta il mito degli chef iniziato in Italia con Gualtiero Marchesi, permaloso come i suoi eredi, e arrivato a personaggi che tutti consideriamo televisivi, da Cracco a Cannavacciuolo a Vissani, o a guru come Bottura (divertenti le righe sul presunto Nobel…) e tanti, troppi altri, artigiani che si credono artisti, nell’impiattamento Pollock frustrati, piccoli chimici che rovinano e rendono quasi insapori materie prime eccellenti, filosofi onniscienti che spiegano il mondo. Il tutto fra il plauso della cosiddetta critica, che invita i propri lettori a spendere con gioia 300 euro a testa per avere il privilegio di omaggiare il maestro.

Tante pagine vengono dedicate alla guida e quindi anche alle stelle Michelin, ritenute da molti chef una questione di vita o di morte nonostante l’evidente impossibilità per gli ispettori dichiarati di valutare così tanti locali. Un falso mito, ad essere buoni. Un mito più casereccio è quello di Identità Golose, dove il conflitto di interessi è quasi la regola, ma in questo caso Visintin non ne fa nemmeno una questione di etica: andare al ristorante è forse l’ultima situazione di socialità e convivialità rimasta, invece il sistema tende a trasformarla in una visita ad un museo.

Molto interessante la parte per così dire economica, al di là della presenza sempre più pesante degli sponsor (quanti premi targati San Pellegrino…). Conti alla mano, nonostante i conti astronomici ed i ricarichi sul vino oltre la decenza un ristorante stellato non è quasi mai un buon affare. Può esserlo per lo chef come singolo, che con televisione, consulenze e altro riesce sempre e monetizzare, ma certo non per gli investitori. Che non sempre sono calciatori sprovveduti, a volte sono anche grandi fondi di investimento o comunque gente in grado di valutare un business plan. Se i conti non tornano come mai si continuano ad aprire locali che fanno sembrare Milano ed in generale le grandi città quasi immense mangiatoie? Be’, il 20% delle nuove aperture, e sembra una stima per difetto, deriva da capitali mafiosi o in generale di origine illecita. Se a questi si aggiungono quelli di ricchi velleitari, che i soldi li hanno fatti altrove, si capisce come mai il sistema sia gonfiato. Nel dubbio i giornalisti che mangiano (e scrivono) gratis dicono che tutto è fenomenale.

stefano@indiscreto.net

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