Tennis
Vasamì come Quinzi
Indiscreto 26/05/2025

Non abbiamo scoperto certo ieri Jacopo Vasamì, di cui si parla da anni e dopo la fine del suo percorso quadriennale all’academy di Rafa Nadal ancora di più, visti i primi buoni risultati a livello challenger e il fatto che da junior (ha 17 anni e mezzo) sembri quasi fuori categoria, ma ieri per la prima volta l’abbiamo visto dal vivo dopo tante ore di Supertennis. La sua vittoria al Bonfiglio è stata comunque lottata ed è la prima italiana dopo 13 anni, quando al Bonacossa vinse Gianluigi Quinzi.
Domanda scontata: Vasamì è un nuovo Quinzi o uno che arriverà in altissimo anche fra gli adulti? Al di là delle analogie fisiche (mancini, molto alti e magri), il loro gioco è abbastanza diverso, visto che Vasamì costruisce meno il punto ma ha colpi di inizio gioco, servizio e soprattutto diritto, molto migliori. Di base Vasamì ha quindi caratteristiche che lo rendono più adattabile al tennis degli adulti, rispetto a Quinzi, e forse, la buttiamo lì, anche rispetto al più reclamizzato Cinà (che è più tattico, e più forte dalla parte del rovescio) che è di 9 mesi più anziano.
Non volevano però fare un ‘Di qua o di là’ per competenti sul nulla, ma una riflessione sui sacrifici necessari per arrivare in alto nel tennis e in generale nello sport: Vasamì è andato via di casa a 12 anni e mezzo, nel 2020, dopo la licenza media (alla primaria ha fatto due anni in uno), quando già fra i pari età era molto forte ma ovviamente senza alcuna garanzia: certo quelli che come lui hanno avuto una borsa di studio sono una minoranza fra le centinaia di allievi del centro di Manacor, ma solo a pensare alle prime mega-academy che ci vengono in mente (IMG, Mouratoglou, Sanchez-Casal) e a quelle con un numero più ristretto di allievi, tipo Piatti o la svedese Good to great, arriviamo ogni anno a migliaia di adolescenti che puntano tutto sul tennis, per volontà propria o dei genitori, spesso difficili da scindere.
Ne vale la pena? Non è una domanda di tipo etico o moralistico, al di là della stupidità dello stare 8 ore al giorno a colpire una pallina (quasi tutti i lavori sono aridi, in ultima analisi), ma soltanto statistica, considerando che chi è appena fuori dal tabellone degli Slam fa fatica a vivere di tennis senza sponsorizzazioni o altri tipi di entrate. In estrema sintesi, manderemmo a Manacor, ma anche a Bordighera, pensando a Sinner, un nostro promettente figlio dodicenne? Tutta la percezione è ovviamente falsata dal fatto che parliamo comunque di casi di successo, almeno a livello giovanile. La nostra risposta è un grosso sì: ancora nel 2025 l’adolescenza con un grande sogno, non necessariamente il tennis e non necessariamente un sogno possibile, è il miglior modo per superare l’adolescenza.
stefano@indiscreto.net