Editoria

Laura Pausini e i nostri inviati a Miami

Indiscreto 11/11/2015

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La vicenda dei giornalisti stizziti per non essere stati invitati da Laura Pausini a Miami per la presentazione del suo nuovo album Simili, è molto istruttiva al di là dei selfie sfigati da italiani in gita premio (a spese della Pausini e/o della sua casa discografica) con foto da bordo piscina dei vari Laffranchi (Corriere della Sera), Giordano (Il Giornale) e Dondoni (La Stampa). Grazie a questa polemica interna al micromondo dei critici musicali (la grande esclusa è stata Marinella Venegoni, dal suo sfogo è nato tutto) il grande pubblico sembra avere scoperto l’esistenza del giornalismo embedded. Che non sarà corruzione in senso stretto, non è che la Pausini abbia dato soldi in una valigetta come se fosse un presidente calcistico di serie B, ma di certo non è nemmeno giornalismo. Non c’è nemmeno bisogno di ricordare l’obbligo per un giornalista di dichiarare i propri rapporti con le persone o le aziende citate negli articoli (qualche giornale, come Milano Finanza, ad esempio lo fa), basta un banale buon senso. Con quale fegato criticherai l’album di una che ti ha fatto vivere da re, gratis, promettendo di farlo anche in futuro? Nella migliore delle ipotesi, se il disco facesse proprio schifo, potrai fare una distinzione fra una canzone e l’altra spiegando che per Laura ‘questo è il disco della maturità’ o che ‘non bisogna fermarsi al primo ascolto’. Vale anche ovviamente il contrario: quante recensioni negative derivano non da un giudizio artistico ma soltanto dall’essere stati esclusi dal giro dei tre giorni all inclusive? Meglio il secondo scenario, comunque: almeno non si devono favori. Una situazione che non si presta ad un ‘Di qua o di là’, perché nell’anno 2015 va ad inserirsi in un contesto in cui quasi ogni trasferta giornalistica deve avere lo sponsor, diversamente si scrive dalla redazione o da casa propria riciclando notizie di agenzia. Mai un giornale, nemmeno un giornale ricco, avrebbe finanziato una trasferta a Miami per andare ad ascoltare un disco ascoltabile con un click anche dalla propria scrivania. Non c’è insomma quasi niente di credibile in ciò che leggiamo di musica, moda, prodotti di bellezza, salute, viaggi, ristoranti, tecnologia, motori, cinema, letteratura, televisione, economia. Resistono un po’ la politica, ma perché la marchetta avviene a livello molto più alto di quello del giornalista, e in parte lo sport perché non c’è un prodotto da vendere e lì i giornalisti sono sfigati nell’immaginario sia dei protagonisti che dei lettori-telespettatori, che non hanno bisogno di mediazione. Tornando agli inviati a Miami, leggendo su vari giornali (non soltanto i loro) le recensioni di Simili non ne abbiamo trovata una sola meno che positiva.

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