Tennis

La generazione di Canè

Stefano Olivari 10/04/2025

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I 60 anni di Paolo Canè, nato il 9 aprile del 1965, sono il pretesto per una riflessione generazionale scritta di getto dopo avere visto Musetti battere Berrettini a Monte Carlo. La riflessione è la seguente: dal punto di vista della memoria collettiva meglio essere il primo degli italiani in un periodo depresso che avere ottenuto risultati molto migliori ma in un’età dell’oro come quella che stiamo vivendo nel tennis italiano e che ci esenta dallo schiacciare il tasto della nostalgia, tentazione fortissima in altri settori. Sempre collocando i campioni nel loro tempo, perché Borg oggi perderebbe con Darderi ma un Darderi del 1980 contro Borg sulla terra battuta non avrebbe fatto un game.

Paolo Canè, ormai fra le migliori seconde voci delle telecronache insieme a Barbara Rossi, ascoltando volentieri anche Reggi e Golarsa (sarebbe pià facile fare una classifica degli inascoltabili, a partire dal Bertolucci finto tifoso a colpi di ‘Ma vieni’), come tennista scompare non diciamo di fronte a Sinner, Musetti o Berrettini, al di là delle vittorie volti noti anche al pubblico generalista pop, ma anche di fronte a un Sonego, che la maggior parte dei twittatori seriali del genere ‘Alé Jannik’ faticherebbe a riconoscere per strada. Eppure Sonego è stato 21 del mondo (adesso è 41), ha vinto 4 tornei ATP, è arrivato alla seconda settimana in 3 Slam su 4 (quest’anno in Australia fino ai quarti), eccetera.

Mentre Cané dopo il suo buonissimo 1989, chiuso da numero 33 ma con il best ranking di 26, non è più stato fra i primi 100 del mondo e in tutta la carriera mai è andato oltre il secondo turno in uno Slam. Certo, il quinto set (vinto) con Wilander a Cagliari in Coppa Davis in cui tutti c’erano come allo Springsteen di San Siro 1985 (noi c’eravamo davvero), la grande partita (persa) con Lendl a Wimbledon, il quarto di finale (perso) contro Jaite a Roma, la vittoria da sostituto di Furlan contro Woodforde nel 1993 a Firenze, la vittoria negli Assoluti contro Aprili quando la RAI li trasmetteva (cosa oggi impossibile, visto che non esistono più), tante partite che lui rendeva drammatiche a prescindere dal punteggio e di cui non ci perdevamo un punto, tipo quella (persa) con Oncins a Maceiò. Insomma, Cané è stato fortunato a vivere nella sua epoca, ma in fondo anche noi.

stefano@indiscreto.net

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