Basket

La pelle di Datome

Stefano Olivari 25/02/2015

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Non occorre essere ammiratori di Malcolm X per osservare che il principale asset dei quattro giocatori italiani che frequentano la NBA sia, in ottica NBA, la pelle bianca. Leggendo, non solo da parte dei giornalisti ma anche degli appassionati evoluti, l’entusiasmo per la militanza di Gigi Datome nei Celtics il pensiero ci è venuto spontaneo, visto che stiamo parlando di un giocatore con chiari limiti fisici e legato, nel mondo dei grandi, solo a un tiro piazzato che non ha migliore di mille altri mentre quello suo caratteristico in allontanamento non è possibile in un ambiente troppo atletico. Datome viene da un anno e mezzo di panchina in una realtà depressa come quella dei Pistons, con qualche puntata in D-League, e ai Celtics trova giusto il nome oltre a un grande coach come Brad Stevens: a Est di peggio ci sono solo i Magic, gli incommentabili Sixers (uno spot contro il draft) e i Knicks che nemmeno un santone come Phil Jackson ha fatto svoltare come cultura, al di là dei pessimi risultati. Dopo tre partite in naftalina magari stasera Datome avrà qualche minuto proprio conto i Knicks o magari no, cambia poco. Il punto è che nell’Europa ridimensionata, anche ai massimi livelli di Eurolega, sono in pochi a guadagnare più di 1.750.000 dollari l’anno come Datome, mentre nella NBA di adesso e a maggior ragione in quella del prossimo contratto collettivo con innalzamento del salary cap, queste somme sono spiccioli che si possono dare a qualunque agitatore di asciugamani. Meglio se bianco, come l’85% del pubblico NBA e diversamente dall’80% dei giocatori. Discorso che a un livello di ingaggio più alto (un nero tecnicamente uguale a loro avrebbe magari lo stesso minutaggio, ma metà dello stipendio) e al netto degli infortuni potremmo fare anche per i pompatissimi Bargnani, Belinelli e Gallinari. Gente che in Europa e in Nazionale ha spostato pochissimo, ma che nella NBA ha invece tranquillamente cittadinanza (Bargnani ancora per poco, a quasi 12 milioni a stagione) e che acriticamente, a volte senza nemmeno la motivazione infantile di ricevere un cinque alto o un retweet dal campione, consideriamo di altissimo livello.

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