Antonietta Di Martino sarà premiata per aver conquistato la medaglia di bronzo nel salto in alto ai Mondiali di Berlino 2009. È una notizia di oggi, nonostante le apparenze, perché la Di Martino era sul campo (l’Olympiastadion) arrivata quarta dietro a Blanka Vlasic, Anna Chicherova e Ariane Friedrich, saltando 1,99.
Ma l’anno scorso la Chicherova è stata squalificata e così ha perso varie medaglie, fra cui l’argento di Berlino. E la Di Martino è scalata al terzo posto. Per lei quindi terza medaglia mondiale assoluta, dopo l’argento del 2007 e il bronzo del 2011, oltre a tutto ciò che ha vinto nella meno prestigiosa atletica indoor. Questa medaglia fuori tempo massimo le sarà consegnata proprio ai prossimi Mondiali, a Doha: un indennizzo amaro, ma meglio di nessun indennizzo.
Detto che la squalifica della Chicherova, nata da controlli antidoping effettuati su urine di 8 anni prima (test di Pechino 2008, Giochi Olimpici), e di altri atleti russi si presta a varie considerazioni che non faremo, mentre altre nazioni (Stati Uniti e un po’ di Africa) sono super-impunite, non esiste nessuno che non pensi che la squalifica della IAAF (anche ingiusta) sia da rispettare e che quindi sia giusto assegnare alla Di Martino un bronzo che senza la Chicherova (che nel 2009 sarebbe stata squalificata di sicuro, se a Pechino 2008 i test l’avessero trovata positiva) avrebbe vinto.
Però rispettiamo anche la tesi contraria, secondo cui lo sport si vive e si scrive nel presente. Insomma, vanno bene le condanne ma no alla retroattività delle vittorie, con riscrizione degli albi d’oro. Senza contare le vittorie che sono rimaste agli squalificati, ottenute con metodi presumibilmente uguali: quanto valgono tutte le altre medaglie rimaste alla alla Chicherova? Insomma, basta avere una linea. Evidente l’analogia con Calciopoli, non certo nel merito (non era una questione di doping) ma nella considerazione storica.