God save McQueen

7 Marzo 2010 di Christian Giordano

di Christian Giordano
Per tanti ragazzini cresciuti fra gli anni 50 e 60 nell’Ayrshire, Scozia, era il pallone a riempire ogni momento della giornata. Gordon McQueen (Kilbirnie, 26 giugno 1952) non faceva eccezione: «La mia scuola calcio erano le strade, il cortile dietro casa, il campetto al parco. Si giocava ogni giorno ed è vergognoso che non sia più così».

A scuola, Gordon segue le orme del padre Tom, portiere professionista di Hibernian, Berwick Rangers, East Fife e Accrington Stanley. Poi, a 16 anni, si sposta all’ala sinistra prima di sistemarsi definitivamente al centro della difesa. Lì statura e strapotere nel gioco aereo ne fanno un marcatore insuperabile, che però passa inosservato nei provini con Liverpool e Glasgow Rangers. Dal Largs Thistle arriva al St Mirren a 18 anni, nel 1970. Ma al club di Love Street resta solo due stagioni. Nel settembre 1972 il Leeds United, per allevare un successore di Jack Charlton, lo porta all’Elland Road per 30.000 sterline.
Da buon prospetto in campo solo sei volte il primo anno (ma non nella finale di FA Cup) perché Don Revie gli preferisce il più esperto e poliedrico Paul Madeley, evolve nel perfetto partner difensivo di Norman Hunter nella squadra, imbattuta per 29 partite, che porta nello Yorkshire il titolo 1973-74. A fine stagione, la prima delle sue 30 presenze (con 5 reti) nella Scozia, battuta 2-1 a Bruxelles dal Belgio. Il primo gol in nazionale arriva contro la Romania nel 1975. Il più famoso, naturalmente staccando di testa su corner, a Wembley, nel 2-1 sull’Inghilterra. Il raddoppio lo firma Kenny Dalglish e la gioia degli Scots per la vittoria in terra inglese li porta ad esagerare: al triplice fischio invadono il campo, sradicano via zolle del “sacro” prato e rompono una delle traverse. Nella Coppa dei Campioni 1974-75 il Leeds arriva alla finale di Parigi, ma al Parco dei Principi – senza lo squalificato McQueen, autore di tre gol nel torneo ed espulso in semifinale col Barcellona – perde 2-0 col Bayern Monaco. Il Leeds più forte di sempre è, per Gordon, una scuola di vita prima che di calcio: «Lì ho vissuto i miei anni più formativi. Ero un ragazzino e aprendo la porta dello spogliatoio trovavo Jack Charlton, il capitano dell’Irlanda Johnny Giles e della Scozia Billy Bremner».
Nel febbraio 1978 per quell’ormai ex ragazzino il Manchester United spende 495.000 sterline, allora cifra-record nel calcio britannico. Un mese prima, il manager dello United, Dave Sexton, all’Old Trafford aveva portato Joe Jordan, grande amico ed ex compagno di McQueen al Leeds. Storica la frase pronunciata da McQueen al momento della propria firma: «Il 99% dei giocatori vorrebbero giocare per il Manchester United e il restante 1% sono dei bugiardi». Vero, come è vero che i tifosi non dimenticano. «Dopo che lasciammo il club, Joe e io siamo rimasti a vivere a Leeds per sei mesi, ma non potevamo girare per strada o entrare in un pub senza che venissimo insultati o peggio». Quando Rio Ferdinand fece lo stesso salto della barricata, nel 2002, all’Elland Road nelle gare successive venne esposto uno striscione su cui era stato aggiunto il suo nome alla lista di “traditori” che comprendeva Éric Cantona, Joe Jordan e Gordon McQueen. Nel 2004 ad Alan Smith toccò invece la scritta “Judas”, Giuda. Undici giorni dopo aver messo nero su bianco, McQueen debutta nel teatro più difficile per chi indossa la maglia dei Red Devils: ad Anfield. A Wembley, invece, giocherà tre finali, anzi quattro: due perse, 3-2 contro l’Arsenal in FA Cup nel 1979 (con un suo gol all’86) e 2-1 contro il Liverpool in League Cup (allora Milk Cup) nel 1983, quella pareggiata 2-2 e poi vinta 4-0 al replay contro il Brighton and Hove Albion in FA Cup nel 1983.
Al Mondiale del ’78 arriva da titolare, ma in Argentina non gioca mai perché è infortunato. L’ultima in nazionale la disputerà nell’81. Lo United invece lo lascia nel 1985, dopo aver perso il posto in favore di Paul McGrath ed essere stato escluso dagli undici che in finale di FA Cup battono 1-0 l’Everton. Epilogo da spettatore di una carriera a Old Trafford quasi identica a quella vissuta a Elland Road: 184 presenze e 20 gol per il Man U, 171 e 19 col Leeds United. Il ritiro, a 33 anni, è figlio degli infortuni. Uno di questi, ad Anfield a inizio 1984, lo tiene fuori per il resto della stagione.
Nell’agosto 1985 gli affida la panchina il Seiko di Hong Kong, ma dopo un anno viene costretto a letto in quarantena con una rara combinazione di febbre tifoidea e setticemia (presenza di batteri nel sangue). Una volta guarito, torna in Scozia come manager dell’Airdrieonians, ma nel maggio 1989 si dimette perché la maggioranza dei giocatori rifiuta, a quelle condizioni contrattuali, l’impegno a tempo pieno. McQueen, che intanto gestiva una cartoleria a Paisley, torna per un po’ al suo vecchio club, il St Mirren. Quando l’amico ed ex compagno Bryan Robson diventa manager del Middlesbrough, lo segue per allenare le riserve. Via Robson, se ne va anche lui. Il 29 aprile 2008 torna come assistente scout, accanto alla leggenda del club David Mills. Per Gordon, che ancora vive da quelle parti, nella cittadina di Hutton Rudby nel North Yorkshire, è una scelta di cuore: come il figlio e la figlia, ha sempre tifato Boro. Oggi, all’incarico di osservatore part-time affianca la carriera di opinionista tv per il canale tematico del Manchester United (MUTV) e per Sky Sports (come analyst dei Red Devils in Champions League), emittente dove è giornalista sportivo il figlio Hayley. Gli infortuni hanno lasciato spazio agli acciacchi, ma vuoi mettere fra spogliatoi e camerino. God Save McQueen.
Christian Giordano
Football Poets Society

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