Calcio
Dirceu per sempre
Stefano Olivari 16/04/2025

Chi era Dirceu? Non riusciamo nemmeno a immaginare una persona che ci faccia una domanda del genere, è uno dei nostri problemi. Però la lettura di Dirceu per sempre, il libro di Enzo Palladini appena uscito per Edizioni in contropiede, ce ne ha fatte sorgere tante altre, di domande. Una su tutte: perché un campione che aveva giocato tre Mondiali con il Brasile accettò, nel pieno della carriera, di passare dall’Atletico Madrid a una neopromossa come era il Verona, oltretutto senza essere chiesto da Bagnoli che gli avrebbe preferito Guidolin (giocatore super, fra l’altro), e poi tanti anni in Italia in squadre di basso livello? Il Napoli pre-Maradona, l’Ascoli, il Como, l’Avellino, fino a Ebolitana e Benevento, per non dire Bologna e Ancona nel calcetto…
La risposta è semplice e nel libro è suggerita, visto che si racconta benissimo la genesi delle scelte di Dirceu. Nell’Italia dell’epoca circolavano soldi veri in ogni categoria ed ogni categoria era irraggiungibile da quelle corrispondenti nel resto del mondo: la allora First Division aveva in certi paesi magari più hype della Serie A, ma certo non maggiori disponibilità finanziarie. Insomma, un mondo irripetibile, basato sul nero (andrebbe riscritta la storia di tanti ‘munifici’ patron) e su controlli inesistenti, ma anche su un entusiasmo diffuso che negli anni Ottanta faceva sembrare tutto possibile. E Dirceu, come viene ben raccontato, ha sempre unito la passione totale per il calcio, che lo portava a giocare partitelle con chiunque, con la giusta attenzione ai guadagni. Meno agli investimenti visto che quando nel 1995 è morto a Rio, in un incidente stradale, aveva di fatto perso quasi tutto.
Mediaticamente Dirceu ha patito il fatto di vivere nell’era di icone assolute come Zico e Socrates, pur avendo un ruolo diverso e in definitiva nessun ruolo (di base esterno offensivo o di centrocampo, ma ogni squadra ha avuto il suo Dirceu: oggi giocherebbe attaccante di destra in un 4-3-3, ovviamente rientrando sul sinistro), di non avere mai fatto notizia fuori dal campo e di non essere identificato con alcuna delle grandi brasiliane, pur avendone girate diverse. Rimane un titolare fisso del fortissimo Brasile del 1974, che però incrociò un’Olanda ancora più forte, e di quello semiderubato del 1978, con una apparizione anche nel 1982 prima che Toninho Cerezo rientrasse dalla squalifica. Carriera e vita con tanti ‘What if’, fra cui la scelta della Roma 1982 di puntare su Prohaska. Non c’è bisogno di trasformarlo in un poeta maledetto, qualifica che non si nega nemmeno a un difensore del Barletta di Rumignani, per rimpiangerlo.
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