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Siamo tutti statali

Stefano Olivari 17/04/2009

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Il principale sogno di ogni editore Italiano e quello di molti giornalisti è il seguente: farsi mantenere, direttamente o indirettamente, dallo Stato o da qualche ente pubblico giocando al lobbista con i soldi dei cittadini (l’editore) e al piccolo intellettuale incompreso (il giornalista). Per questo ogni convegno ed ogni analisi sui media si trasformano rapidamente in un piagnisteo del genere ‘Invece in Francia, invece Zapatero…’: come se fosse socialmente utile tenere in vita artificialmente organi di partito (a volte mascherati) o manganelli mediatici di capitalisti che vivono di concessioni pubbliche o di aree con buone possibilità di diventare edificabili. Le cose vanno male, in estrema sintesi. Nel 2007-2008 il mercato dell’editoria giornalistica ha registrato un crollo della pubblicità spaventoso, come spiegato ieri dalla non disinteressata (agli aiuti pubblici) Federazione italiana editori giornali nel consueto studio annuale. I quotidiano hanno registrato un meno 2% di vendite, un meno 6% di ricavi pubblicitari ed un meno 30% degli utili. Profondo rosso anche per i periodici: meno 4,4% di ricavi da vendita e meno 5% di pubblicità, con l’interessante distinguo fra settori, In pratica target molto specifici hanno addirittura aumentato gli introiti da pubblicità: più 5,2% i motori (lieve rumorosità, linea grintosa), più 15,7 la salute (bere molto e mangiare frutta e verdura). La nostra personalissima opinione è che i ricavi pubblicitari stiano all’editoria come i diritti tivù al calcio: grandi cifre, soldi apparentemente facili e svincolati dai risultati, ma fondamenta di sabbia ed un lettore che conta poco. Attualmente l’incidenza sui ricavi totali in Italia è del 49,4%. Conclusione: l’informazione è quasi sempre un lusso.

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