Calcio
Un inviato come Enzo D’Orsi
di Stefano Olivari
Pubblicato il 2024-03-30
Non ha bisogno che si parli del suo curriculum, Enzo D’Orsi, perché in tanti sanno che è stato un grandissimo inviato del Corriere dello sport sul calcio internazionale, al seguito della Juventus ma non soltanto, e perché ha lasciato eccellenti libri come Gli undici giorni del Trap – Atene 1983, Non era champagne – La rivoluzione fallita di Maifredi e Michel et Zibi – Gli amici geniali. Ma la sua scomparsa è lo stesso un dolore enorme e non soltanto perché per Indiscreto ha scritto tanti articoli e anche il capitolo del libro su Franco Rossi: D’Orsi ha racchiuso in una sola persona competenza e ironia, cronaca e opinionismo, cultura e nessun bisogno di esibirla.
Soprattutto è stato la dimostrazione di come si possano seguire sul campo le squadre di calcio senza esserne o diventarne tifosi, anche se è logico che con alcuni (Trapattoni e Platini su tutti) il rapporto fosse migliore che con altri, e che si sia naturalmente contenti di seguire la Champions League invece della Serie B. Non era tifoso nemmeno della Sampdoria, D’Orsi, nonostante simpatizzasse per la filosofia di vita e di calcio di Paolo Mantovani, al punto di far parte del leggendario ma reale Cerchio Blu, esclusivissimo club (fu scherzosamente messa ai voti anche l’ammissione di Vialli e Mancini) che era soprattutto una miniera di notizie, oltre che un posto in cui le notizie venivano create, come nel caso della Supercoppa italiana di cui fu uno degli ideatori, senz’altro quello che per primo ne parlò a Mantovani che poi l’avrebbe proposta in Lega.
Ma al di là degli aneddoti, di cui gli articoli e i libri di d’Orsi erano pieni, anche noi che abbiamo preso per la coda l’epoca dei rapporti stretti con i protagonisti, finita più o meno nel 2000, siamo sempre rimasti affascinati dalla facilità di accesso a personaggi quasi mitologici senza bisogno di appuntamenti, pannelli degli sponsor, domande concordate con gli addetti stampa, eccetera. Intendiamoci: oggi i giornali venderebbero poco anche se fossero fatti da giganti come D’Orsi, non si può confrontare l’epoca degli highlights in tempo reale con quella in cui i migliori calciatori del mondo erano quasi invisibili, anche quando giocavano in serie A. Ed allora, come oggi, la quasi totalità del pubblico è formata da tifosi, non da aspiranti allenatori o da persone che vogliono conoscere retroscena. Però appunto erano il pubblico, non i giornalisti.
È un dato di fatto e non nostalgia, sentimento da cui peraltro D’Orsi era lontanissimo: anzi, da appassionato di calcio internazionale ancora in tarda età riusciva ad emozionarsi per la più insulsa delle partite di calcio inglese, lui che era cresciuto soltanto sognandolo. Da pensionato felice, senza bisogno finanziario o psicologico di mendicare collaborazioni o comparsate televisive (la quasi totalità dei suoi lettori non conosceva la sua faccia), si godeva tutte le partite che gli interessavano. Bravissimo e onesto, ci mancherà tanto.
stefano@indiscreto.net