Le rape di Pianigiani

22 Settembre 2013 di Oscar Eleni

EleniOscar Eleni ripescato fra il ponte dei calzolai e quello dei macellai, gelato e sfinito in mezzo al fiume Lubljanica, ancora prigioniero della camicia di forza che Azzurra Tenera ci fatto mettere a Capodistria, disperato per aver perso la fede in troppe cose, nella Caporetto dei pronostici, delle visioni, dell’io so. Dovrei chiedere aiuto al grande Paolo Rumiz, scrittore, giornalista, ma, soprattutto, grande amico di Boscia Tanjevic che resta ancora il numero uno nella buona e nella cattiva sorte, andate a rotolarvi nel vostro catrame da  Roma in  su, perché sul fronte italo-sloveno dell’Isonzo ha dipinto cose straordinarie  parlandoci di una una guerra che ricorda questo basket tormentato, tormentoso, lagnoso, sempre uguale a sé stesso anche dopo terremoti mediatici, passato al Petrucci credente, nei suoi, nelle scelte che fa e, se sbaglia, finge che sia colpa degli altri, così non ti accorgi del suo macerarsi doloroso,  dopo la dura galoppata nel torrido delle idee e delle collaborazioni attive di uno con le  mani forti  come il Meneghin in “fuga” dal suo vero ed unico mondo, chissà perché non ha voluto candidarsi alla presidenza della Fiba Europa, speriamo solo per amicizia con Dejan geniale Bodiroga che invece corre in nome della Serbia. Rumiz potrebbe dirci dove abbiamo sbagliato.

Confessioni. Siamo andati verso Koper con l’idea che avremmo dovuto tornare a casa presto. Non è accaduto. Avevamo accettato la tregua con  il Pianigiani che si sente sempre circondato da chi fa una gran fatica a battergli le mani ogni volta che starnutisce, quando vince e ha vinto tanto è stato applaudito ed elogiato accidenti al neurovittimismo. Non poteva essere attaccato per quella Nazionale, salvo per la scelta degli uomini. Noi avremmo esplorato meglio la nazionale d’oro di Sacripanti, ma in casa luterana guai fare il nome di un francescano che ama i giocatori per quello che sono e cerca di prenderne il meglio, insegnando anche qualcosa contrariamente a tanti colleghi sapientoni da bande Osiris e vicinanze. Certo non sarebbe cambiato nulla, però ammetterete che i ventenni  serbi hanno ottenuto qualcosa in più dei nostri che “ fanno gruppo e tappezzeria” sapendo aiutare una squadra. Va bene. Se ne discuterà domani visto che il Simone alla presa della città a spicchi che si chiama Italia ci ha detto, dopo l’amarezza, che il vero lavoro comincia adesso. Siamo d’accordo, basta che non ci faccia tornare al periodo in cui Giancarlo Primo, messo sul trono tecnico come dominus assoluto dall’avvocato Coccia, dopo la rivoluzione illuministica sulla difesa, sulla squadra che andava oltre le prime donne, si era convinto che l’unico verbo per l’evoluzione di una specie fosse il suo, mandando al rogo tutti gli altri. Petrucci che conosce la storia della sua chiesa meglio di noi e quindi sa quanta gente è stata ingiustamente bruciata per il “ bene” non ci faccia trovare un dittatore dove abbiamo lasciato un prode console. Di  cesarismo si muore.

Tornando al mare istriano, quella pace con il Pianigiani inattaccabile si è tramutata in vero affetto: stava facendo e ha fatto, insieme alla gente del suo staff, Dalmonte, Fioretti, Imbrogno, Cuzzolin, un capolavoro. Aveva rape, ne ha tirato fuori qualcosa che farà storia. Non per aver  battuto tigri di carta come Russia e Turchia, non per aver fatto ingoiare a Trinchieri l’idea che i Cusin e Cinciarini maltrattati da lui a Cantù, svalutati soprattutto avrebbe dovuto dire l’ingegner Cremascoli prima di sentire i tuoni e le arpe di casa, potevano battersi perché hanno dentro qualcosa che va oltre il giudizio tecnico dei soliti noti, quelli che vogliono il giocatore fatto da altri, che non prevedono di essere pagati per far migliorare un ragazzo che, magari, sembra meno dotato de non è questo il caso caro Gas Gas come direbbe il Pea diventato fantasma, che certo ha brindato per il flop di una Grecia da medaglia dove già tirano le dracme risparmiate verso il cocchio dell’italiano che rinunciò ad Harvard per fare l’allenatore dei giovani perdendo col tempo la visione mistica per passare a quella del coach-manager che calpesta tutto e tutti e pensa di cavarsela soltanto perchè trova sempre una buona battuta anche quando arrostisce le salamelle degli ultras. No, ci eravamo innamorati di questa certosina ricerca del meglio dentro ciascuno dei giocatori sopravvissuti alla battaglia impari con la strega che si chiama sfortuna o, nel caso di Hackett, Ate dea zoppa che dava consigli sbagliati a gente che si sente già matura e, invece, ha ancora bisogno di camminare nella vita per riconoscere chi è davvero dalla sua parte.

Lo stesso discorso che avremmo voluto fare ad Alessandro Gentile, cercando un avvicinamento ironico scherzando sui gradi immeritati da capitano donatigli da Banchi, una volta era questa schermaglia di battute a fare gruppo, aiutare ad amare e ad essere amati, ma quello ha preso fuoco subito e ci ha mandato a quel paese. Non è il primo, non sarà l’ultimo come dicevamo ai finti cerusici intervenuti nella questione senza essere richiesti. Non portiamo rancore, come sa bene Gentile senior,  chiarendo soltanto una cosa che avevamo bene in mente quando ci ha detto che l’ironia l’accetta soltanto dai parenti e dagli amici. Eh no. Troppo facile. Comunque sia, meglio un Gentile sfaccimme di sepolcri imbiancati che sanno come avere consenso.

Ha creato una squadra vera e dentro non c’era il meglio. Un capolavoro. Certo vi domanderete cosa è accaduto a Travis Diener il magnifico Aladino di Sassari diventato troppo presto un Maestranzi qualsiasi. Mistero della psiche, congiuntura sfortunata per una distorsione che ha spezzato ritmo e legami con il pensatoio. Certo non avremmo puntato su di lui in un settore dove ce la potevamo cavare bene perché c’è tutto un mondo che gira intorno ai Cinciarini e agli Stefano Gentile o De Nicolao, c’è un’atmosfera che forse non avrebbe fatto sentire così male al Daniele Hackett che il suo tendine lo infiamma già da un po’ nel giardino meraviglioso di Siena dove il rumore del motore Peugeot ci fa pensare che il Minucci ha trovato l’asso per non far finire tutto quello che ha creato. Di sicuro avremmo scelto soltanto uno fra Vitali e Poeta, il secondo è davvero uomo per far stare insieme una squadra, ma queste sono putanadas variadas.

Il risultato lo avete visto tutti. Quel cinque su cinque a Koper ci ha hatto portare la camicia di forza anche nelle vasche termali di Ancarani dove già dovevamo guardarci dal furore del Samaritano con macchina scoperta che non aveva salute, felicità e poi scaricava tutto sul viandante scambiandolo per una palla da prendere a pugni non avendo sottomano chi gli aveva creato tanto malessere. Vecchie liti fra gente che si tollera per un paio d’ore e poi cede al super-io spigoloso. Oramai ci siamo rassegnati alla solitudine, come abbiamo sussurrato al Walter  Veltroni che ci ha raccolto a Metelkova Mesto, centro d’arte, perché soltanto dopo il suo bell’articolo sul Corriere dello Sport del vivace Barocci che non si smentisce mai, come il primo giorno del lavoro in comune (comune?) al giornale romano, abbiamo ricordato quello che dovrebbe anche interessare la Lega di Anubi: lui è ancora il presidente onorario dell’organizzazione? Allora richiamatelo in servizio per l’operazione televisione che ci angoscia, sapendo che esiste un canale Italia 1 e 2, per noi introvabile, purtroppo, dove il Bagatta dovrebbe portare l’Eurolega.

Come dice il Pianigiani, ai nostri giocatori piace la zuppa di casa. Restano sbalorditi se fuori porta trovano gente che impone ritmi più sostenuti, arbitri che guardano cose  sfuggite ai nostri samaritani affidati al Facchini, allora facciamoglielo vedere questo altrove se non partecipano alle coppe che, come sapete, quei furboni di casa nostra considerano soltanto dispendiose. Quelli piangono dopo, quando i giocatori restano bonsai. Se ne fottono, lo capirete da come trattano e sfruttano i vivai facendosi belli per i premi federali rubati alle minori con tasse da federfeudatari, gente che messa insieme sa cosa vuole per se stessa, ma guai pensare, una volta, una soltanto anche al benedetto movimento tornato persino nelle preghiere di vecchie sorelle, di nonni sdentati, di zie che non sapevano cosa era lo sport, dopo l’europeo delle beffe. Eh sì. Troppo lungo. Se non hai grandi mezzi fisici e se in sala scommesse ti danno a 200, se alla conferenza di vigilia vedi intorno a te gente che ha la faccia del boia e tu devi per forza essere l’impiccato, allora consumi tutto, non guardi il serbatoio e arrivi con i  muscoli avvelenati e la testa molto più stanca e su questo adesso usano l’allenatore mentale che per Flaborea erano 24 rosette alla mortadella. Chiaro che a Lubiana abbiamo scoperto dove ci aveva sbattuto il rotore di Koper, attaccati alla parete con un gran mal di stomaco. Strano che ad ammeterlo sia stato il Belinelli di cui criticavamo la tecnica di tiro già a Trento e quel suo finale da 5 su 32 conferma, perché  pensavamo fosse l’unico ad essere abituato a giocare quasi ogni giorno in quel tritacarne e cervelli che è la NBA.

Per non rubarvi altro tempo pagelliamo Azzurra Tenera e settimina dalla chiesa dei santi Cirillo e Metodio e in futuro l’Euromondo che ci ha circondato  staccandoci da una manifestazione dove avremmo voluto essere, quella di Pesaro in ricordo di Alphonso Ford con Valter  Scavolini e la figlia di Elvino “costretti” ad andare in mezzo al campo per ritirare la targa dell’amore, della speranza, del coinvolgimento. Volevamo stare con lui per convincerlo che il basket pesarese non ha bisogno di tanti soldi, ma di tutto il suo amore, come noi di Alceo a colle Ardizio però.

AZZURRA al VOTOMETRO

10 A PIANIGIANI e ai cavalieri della sua tavola rotonda che, però, non deve escludere cavalieri erranti in altre praterie.

9 Al CINCIARINI  che dimostra quanto siamo superficiali nel giudicare i giocatori senza guardare all’essenza dell’uomo.

8 A CUSIN e MELLI per la battaglia impari che hanno dovuto giocare. Non sarà tempo sprecato e non sarà un ricordo da buttare via questa fatica, quando torneranno a casa e, magari, troveranno il loro posto occupato da stranieri. Lo sanno, non si facciano condizionare  e non chiedano di  andare altrove. Cantù e Milano sono il loro territorio. Stesso discorso per tanti altri invasi dall’americano errabondo.

7 A D’ARTAGNAN GENTILE che guascone era e resta, ma che ha tutto per entrare fra i migliori del nostro gioco. Gli serve una mente più aperta, un senso più leggero della vita professionale, senza però dimenticare che è il lavoro a cambiare tutto. Ora si gloriano del suo successo anche quelli che  lo facevano bollire senza proteggerne i nervi, limandoli nel senso giusto e la Nazionale ci ha resituito in pieno il suo talento appena intravisto con la Milano che ora deve lasciarlo cavalcare, ma sempre sussurrandogli cose giuste all’orecchio. Lo chiediamo, ovviamente, a Banchi e ai suoi assistenti, non a chi farebbe piangere Biancaneve come la Roberts.

6 A BELINELLI per aver  accettato di guidare la barca a Koper, certo non ci aspettavamo che saltasse per aria nelle sfide più dure. Diciamo che fra il genietto in Fortitudo e questo ricco professionista che ora svernerà nel Texas portando i tortellini per Ginobili preferiamo ancora il primo a cui il saggio Repesa diceva di avere pazienza.

5 Al Pietro ARADORI che si sarà reso conto dei motivi per cui a Siena, con Pianigiani, amato-odiato-tollerato per convenienza, giocava meno di quanto sognava e perché in Nazionale era sempre in quintetto: questione di opportunità, ma il cronometro gira comunque e su certe piste lui non va ancora al massimo.

4 A Daniel HACKETT perché non è passata notte con Azzurra, nel bene e nel male, senza un pensiero per la sua assenza che avrà mille ragioni, ma per noi resta defezione sennza combattere. La carriera? Certe cose rimangono anche se ti batti per piccole patrie.

3 A Travis DIENER che non può giustificarsi soltanto con  quella distorsione che gli ha fatto perdere il primo treno, che non può dire di essere stato trattato con poco riguardo. Una sola partita da Aladin, poi il fantasma delle sponde inutili.

2 All’arbitro tedesco LOTTERMOSER, forse il peggior persecutore del nostro gioco. Certo ce ne sono stati tanti da mandare nella sala torture del castello sloveno, nessuno ci ha dato una mano, diciamo che infierivano sui bassotti considerandoli piccoli brutti e cattivi come da un famoso detto milanese, ma i nostri la morosa ce l’avevano ed era il mondo Italia sulle tribune.

1 A NOI STESSI per aver dubitato di Azzurra Tenera, per non essere riusciti a vincere la tentazione di far sapere. Dopo, molto dopo, che certe cose le avevamo magari previste. Nello sport bisogna inchinarsi a chi va oltre i propri limiti. La squadra ci è riuscita, noi, invece, siamo rimasti prigionieri delle certezze da bar e pur sapendo di essere in buona compagnia con allenatori, colleghi, presidenti di società non riusciamo ancora ad elaborare il lutto della sconfessione.

0 A Cesare RUBINI l’immortale perché quando abbiamo affrontato l’Ucraina di Mike Fratello ci veniva in mente che lui lo chiamava parrucchiere mentre importunava Binelli o Magnifico promettendo la NBA contro il parere del Principe convinto che avrebbero portato soltanto le borse. Dovevamo invece temere Fratello, Hill e il Dalatri che lavora suo muscoli e sulla testa come Cuzzolin. Loro ci hanno mandato nel limbo come del resto succede adesso proprio con il Rubini che tutti onorano, ma che troverà il secondo libro sulla sua storia al macero perché là dove tutto si muove, non avendo guadagni e sapendo che altri hanno lavorato gratuitamente fingeranno di essere stati male interpretati quando promettevano di partecipare a questo lavoro per non far dimenticare un indimenticabile.

Oscar Eleni, da Lubiana

Share this article