L’Europa del Real, il Mondo di Doncic

21 Maggio 2018 di Oscar Eleni

Oscar Eleni sottobraccio a Marcello Fonte e Nicolò Melli davanti alla statua madrilena dedicata all’orso e al corbezzolo pianta curativa. Ci piace sognare di averli avuti al fianco anche nel bosco deli sconosciuti al parco del retiro: il primo perché straordinario in Dogman e infatti lo hanno premiato come miglior attore a Cannes, che per noi non esiste più da quando ci manca Torquemada Porelli, il secondo per la bella partita che ha giocato in finale a Belgrado contro il Real, unico del Fenerbahce a battersi come si doveva in una finale. Non lo ha fatto Datome, non lo ha fatto di certo Vesely, palla al piede per Obradovic.

Il piacere di raccontare a questi due giganti, davanti ad un cocito madrileno, cosa vuol dire essere spagnoli di questi tempi. Dicono che la loro casa reale sia la meno amata, c’è poi la vicenda catalana, hanno problemi politici come i nostri, però in queste settimane hanno dimenticato tutto guardando i loro eroi sportivi: Nadal nel tennis, Marquez con la moto GP. Non parliamo dei madrileni. Hanno vinto la coppa europea contro il Marsiglia con l’Atletico facendo danzare una tifoseria che quando perde viene presa in giro al ritorno a casa nella famosa calle degli elefanti: eh sì, se ne vanno scuotendo la testa. Luce speciale sulla Real casa bianca dove ci hanno appena rubato un talento che ha studiato alla Stella Azzurra finalista sfortunata di eurolega nella sfida persa con i lituani del Lietuvos. Nel dominio di don Florentino Perez, ingegnere, uomo di mondo in politica e nell’arte di vincere, questa è la settimana di san Isidro patrono della vecchia Ursaria oggi Madrid: i ragazzi del baloncesto gli hanno dato la decima coppa, a fine settimana quelli del calcio potrebbero ridargli la Champions se il Liverpool sarà d’accordo.

Ammettiamolo, questi spagnoli sono da invidiare e non soltanto quando vincono. I loro vivai sono fiorenti, le società del baloncesto hanno tutte palazzi di qualità, la Liga funziona e anche l’eurolega, che vive il suo splendore in terra spagnola, lasciamo perdere questa storia di Catalogna e Castiglia, è una magnifica idea, rieccoci a Porellone e alle sue intuizioni con gli amici spagnoli, ma guarda un po’, anche se poi nella suntuosa finale di Belgrado, 16 mila spettatori fissi, hanno esagerato con le americanate. Possibile farsi colonizzare in tutto? Non serve quel gioco di luci ed ombre, quel contorno che sa tanto di pollo rancido. Lo stiamo facendo anche in Italia, come sempre pensando di avere a che fare con bambini scemi. La verità è che gli scemi sono quelli che considerano l’apparire meglio della sostanza.

Certo di scemenze ne dicono tutti, ne fanno tutti. Prendete una labirintite e conditela con problemi al fegato. Avrete la risposta a certe considerazioni che ci avevano fatto escludere il Real Madrid dalle squadre che potevano vincere l’eurolega. Stagione travagliata, infortuni, poi non eravamo convinti che Pablo Laso avesse altre espressioni oltre a quella torva per l’errore e quella del padre generoso con chi faceva bene. Insomma eravamo scettici. La solita storia del giudicare senza stare dentro. Tifavamo per Jasikevicius e lui ha fatto benissimo con Kaunas, pensavamo che il Fenerbahce di mostro Obradovic, il nemico di tutti gli uomo ragno del pianeta basket, a volte tremendo come il Molina dei film, potesse farcela una seconda volta contro il CSKA arrivato senza certezze dopo gli infortuni a due uomini chiave come Nando de Colo e Harris, recuperati ma non da quintetto base. Insomma il campo e gli uomini su quel legno duro di Belgrado ci hanno detto che a tacere si fa sempre bella figura, il famoso detto dei veneti: prima di parlare tasi.

Ma torniamo a basketlandia, nella terra dove gli inventori dell’acqua calda giocano al computer, confondono le idee, ma alla fine viene sempre fuori che non ne hanno mezza. Finale di stagione dove portano a casa qualcosa anche i peccatori di Milan e, soprattutto, dell’Inter, nel paese che regala alibi a tutti e non si ferma invece a celebrare le imprese: la Spal che si salva, il Parma che torna in serie A dopo il calvario dalla D, il Petrarca rugby che ritrova uno scudetto, certo non dello stesso valore dei tempi in cui era il giovane Munari a guidare la squadra di Geremia, ma pur sempre un successo per una vera scuola di sport e di vita.

Noi siamo seduti sul fiumiciattolo aspettando che le semifinali ci portino dove sapevamo, nel regno di Dondino Pianigiani che è stato davvero bravo a prendersi tutto il tempo per assemblare una squadra rinnovata da loro, costruita da loro, nel lusso di poter anche sbagliare o lasciare a sedere gente che giocherebbe in quintetto persino nelle rivali dei turni decisivi: da Kuzminskas a Young, da Theodore a M’Baye, per non parlare degli italiani velina, a parte Cinciarini.

I quarti, dove la strega con la scopa ha mandato subito a casa chi aveva già fatto tanto a qualificarsi, ci hanno portato via Avellino facendo diventare, ancora una volta, il laboratorio di Trento, la mecca per chi crede nello sport come sacrificio, idee, tormento ed estasi, ma sempre tormento. Avellino fuori spiazza chi pensava potessero essere loro, dopo i due rinforzi prima dei play off, il vero ostacolo per la Milano che adesso serve persino i lunghi e, se gli gira, difende anche per due quarti di partita. Ci addolora questo finale per Pino Sacripanti a cui vuoi bene a prescindere, anche se magari ha sbagliato tanto pure lui. Certo un allenatore può fare i conti con tante cose, ma se nelle partite decisive ti trovi l’MVP del campionato, il Rich sette bellezze, che non ne ha più e si annulla da solo, allora sono guai a cui devi aggiungere il recupero mai completato del bambolo Fesenko. La forza di Trento è questo basket senza ruoli dove tutti sono in caccia e dove tutti si sacrificano, l’Olanda dei canestri dicono i celebranti del’68, da Roggero a Buffa. Non belli come l’anno scorso, ma sempre bravi e con delle idee. Bravo Longhi a tenerli tutti insieme, bravo Trainotti, il numero uno fra i Robin Hood dei canestri.

Ci salutiamo aspettando il verdetto delle semifinali e dando le pagelline fra orsi e corbezzoli madrileni.

10 Al CALAMAI intervistato da De Ponti per il Corriere. Bellissimo. Bravo lui e chi gli ha permesso di mandare a farsi fottere il mondo dove ai giocatori regaliamo fin troppo, dove gli agenti sono peggio dei genitori che vanno a scuola a picchiare il professore che ha dato 4 al loro bambino.

9 Al SACCHETTI e alla sua saggezza di chi ne ha viste di tutti i colori, persino nei giorni dell’ingratitudine a Sassari. Nel min raduno cercherà dove si può ancora esplorare, persino in A2 con questo messaggio che non deve diventare alibi per chi ci sguazza se trova una scusa: aiutiamo i giovani quando sbagliano.

8 Ai giovani della STELLA AZZURRA che si sono ben comportati nel torneo di eurolega per le giovani generazioni. A Roma c’è qualcosa che forse sfugge, che purtroppo sfugge.

7 Con mostrine d’oro per Nicolo MELLI col rimpianto di averlo perduto quando la genialità dei mostri di oggi aveva deciso che forse non valeva la pena accontentarlo, ammesso che avesse accettato di stare nel gineceo come a casa del solito sultano.

6 Al KOKOSKOV che sarà il primo allenatore non americano a guidare una squadra NBA. Lo ha scelto Phoenix che avrà anche la prima scelta per i giovani aspiranti maghi. Potrebbe puntare sul prediletto Luca DONCIC con il quale ha vinto l’Europeo guidando la Slovenia, ma ormai siamo tutti stregati e a Belgrado gli hanno dato il premio. Si pensa per i prodigi a 19 anni, non certo per una finale dove è stato attore, ma non protagonista.

5 A REGGIO EMILIA se continueranno a farsi depredare da chi sembra avere più soldi anche se meno idee. Ora hanno perso anche Max MENETTI, il loro piccolo Ferguson, e dispiace questo divorzio anche se si spera che al grande chef della Reggio finalista offrano cucine più importanti.

4 A RICH per come ha giocato i quarti di finale, incapace di onorare quel titolo di MVP che noi avremmo dato a Micov.

3 A Luigi LAMONICA arbitro della finale di eurolega a Belgrado perché ogni volta che lo vediamo in competizioni di così alto livello ci fa venire il nervoso: da noi, con i brocchi da fischietto serviti dalla casa, non può arbitrare per raggiunto limite di età. Ma non fateci ridere.

2 Alle TELEVISIONI benedette che hanno dato al basket una luminosità che forse non merita neppure, ma già che avevano fatto trenta potevano fare trentuno aggiungendo i play off della A2 che sono forse il vero specchio del basket italiano in questo momento.

1 All’ULEB che insiste nel volersi allargare a 18 squadre, 34 partite sicure per chi partecipa. Il calendario strangola, la FIBA non agevola, il mercato chiede spazi più ampi e città più importanti ma, per favore, non pensate soltanto ai profitti. Pensate anche agli attori. Non è la stessa cosa per la nostra A1 perché abbiamo bisogno di recuperare città importanti, soprattutto dopo una stagione dove una Regione, la Lombardia, ha mandato in finale 5 squadre.

0 Ad AVELLINO per come ha finito la stagione diventata pessima dopo l’eliminazione in coppa Italia. Deve essersi rotto qualcosa in quel supplementare a Firenze, ma ora buttare via il bambino con l’acqua sporca sarebbe l’errore più grave. Alberani è uno che merita di ritentare in mezzo a tanti lupi invidiosi, gli stessi dei tempi di Boniciolli forse.

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