L’attentato a Kenney

3 Febbraio 2009 di Flavio Suardi

di Flavio Suardi

Jim Tillman, uno dei primi atleti di colore a vestire la maglia del Simmenthal, arriva a Milano nell’estate del 1968. Ha un carattere discretamente particolare, difficile da gestire, ma è pur sempre un buon giocatore: capace di produrre quasi 19 punti di media in due stagioni, concluse entrambe al secondo posto. L’esperienza milanese di Tillman è legata, in un certo qual modo, a quella di un altro giocatore destinato invece a lasciare un segno indelebile nella storia sportiva delle Scarpette Rosse: Art Kenney. Estate 1969: la Milano di Rubini e Gamba è impegnata in un torneo prestagionale, durante il quale si trova ad affrontare una rappresentativa formata dai migliori giocatori del campionato francese, tra cui proprio Kenney. Art gioca una partita incredibile, mettendo in mostra il suo marchio di fabbrica: stile rude ma redditizio, grande energia e fisicità. Ovviamente, e non solo per affinità di ruolo, il bersaglio principale di Kenney diventa proprio Tillman, che non la prende benissimo, come testimoniano alcuni scambi verbali non proprio all’acqua di rose durante la gara. Quello che sembra un episodio chiuso al suono della sirena si riapre quando, fatalmente, le due squadre si ritrovano ad alloggiare nello stesso hotel. Un gioco di sguardi che diventa un insulto, gli animi si accendono, ed ecco l’inevitabile: rissa da Far West con Tillman ad inseguire Kenney per tutta la hall. Prima fermata, il bar dell’albergo, con Tillman a domandare inutilmente una bottiglia da spaccare in testa a Kenney. Quindi il lampo di genio del colored statunitense: brandito il primo telefono disponibile, Tillman pretende di chiamare il fratello, militare a Verona. Diverse le versioni dei fatti, uniformate in questa: “Hey man – avrebbe detto Jim al fratello -, mandami immediatamente una pistola che devo ammazzare un tizio!”. Ovviamente la rivoltella non arrivò mai, ma Rubini dovette intervenire energicamente per evitare altri danni…Più o meno ricomposta la frattura, l’anno successivo Milano doveva risolvere il problema della sostituzione proprio del bizzoso Tillman. Occorre ricordare che in quegli anni c’era un’aspra concorrenza tra NBA e ABA ed era difficilissimo trovare dei giocatori disposti a lasciare gli Stati Uniti a cuor leggero. In un primo tempo la coppia Rubini-Gamba decise di puntare su Bob Lienhard, ma dopo averlo provato per una settimana gli consentì di andare a Cantù (dove ancora ringraziano) a causa di caratteristiche non compatibili con l’idea di gioco milanese. Il pensiero ricadde quindi sul roccioso Kenney, di cui a Milano si ricordavano bene proprio per l’episodio del precampionato dell’anno precedente, oltre che per gli ottimi risultati che stava ottenendo con la maglia del Le Mans. Rubini e Gamba giunsero con un velivolo minuscolo a Saint-Nazaire, quindi in auto appena in tempo per assistere alle finali del campionato transalpino e imbastire una trattativa con il giocatore. Kenney sarebbe stato il tipo di giocatore perfetto per il Simmenthal, ma restava un’incognita la sua reazione ad una proposta milanese dopo i fatti dell’anno precedente. Giunti al campo, si narra che Rubini abbia chiesto a Gamba di intavolare il discorso con una frase del tipo: “Parlagli tu perché altrimenti rischio di prenderle sul serio questa volta”. Dopo non più di cinque minuti di trattativa, iniziava l’avventura italiana di Art Kenney.
Flavio Suardi
flavio.suardi@gmail.com
(in esclusiva per Indiscreto)
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