La pancia del rookie

16 Maggio 2007 di Roberto Gotta

1. Ancora draft, o meglio post draft, con argomenti di cui avevamo già fatto menzione. Ed una premessa: parlando di Oakland, la scorsa settimana, ci siamo clamorosamente dimenticati di fare il nome di Josh McCown. E’ il quarterback che è passato dai Detroit Lions ai Raiders assieme a Mike Williams, del quale (!) aveva preso il posto come ricevitore in alcune situazioni tattiche lo scorso anno. Scontento però della situazione e chiuso da Jon Kitna, ha chiesto di andare via ed ora a Oakland è candidato a partire davanti alla prima scelta JaMarcus Russell, se non altro perché ha ormai un’esperienza di cinque campionati NFL, con 35 partite giocate di cui 22 da titolare (tutte agli Arizona Cardinals).
2. Passando a Cleveland, sulla carta i Browns hanno fatto bei colpi. Perché hanno preso senza particolari danni al proprio roster o alle proprie finanze una coppia cruciale, offensive tackle sinistro (ruolo fondamentale, vedi American Bowl 22) e quarterback del futuro, possibilmente immediato. Il primo è Joe Thomas (foto), il tackle proveniente da Wisconsin che già ci piaceva molto prima, ma ora adoriamo, per un motivo molto semplice: invece di incastrarsi in un completo giacca e cravatta che un qualche stilista gli avrebbe fatto pagare una fortuna, nel giorno del draft è andato…a pesca sulla barca del padre, accettando a malincuore che un cameraman salisse a bordo ma solo a condizione che le immagini venissero registrate per uso successivo e non in diretta, perché non voleva che il proprio passatempo diventasse una baracconata o, peggio ancora, un reality show. Tipo tosto e solido, senza grilli per la testa e con al massimo qualche esca all’amo, darà una grande mano al lato sinistro della linea d’attacco dei Browns, assieme ai free agent Seth McKinney e soprattutto Eric Steinbach. Ma il bello è che molti ritenevano che Cleveland, dotata di un Qb di medio livello come Charlie Frye, si sarebbe invece buttata su Brady Quinn e non su Thomas, ed è merito del GM Phil Savage l’essersi messo in tasca entrambi gli obiettivi in un colpo solo.
3. Appena chiamato Thomas, infatti, Savage si è messo a telefonare a chiunque fosse in grado di alzare il telefono, proponendo giocatori e/o scelte per ottenere una posizione privilegiata dalla quale chiamare Quinn, pur sapendo che c’era la forte possibilità che l’ex Qb di Notre Dame andasse via al numero 9, ovvero Miami. Macché: Miami ha scelto Ted Ginn Jr, il ricevitore di Ohio State, e allora Savage ha intensificato la sua attività, arrivando in extremis a convincere Jerry Jones, dei Dallas Cowboys (numero 22: il numero 23 di chiamata spettava ai Kansas City Chiefs, certamente interessati a Quinn) a cedergli il diritto di scelta in cambio della prima scelta 2008 e di due terze scelte 2007. Pochi minuti dopo Cleveland fa il nome di Quinn ed è evidente il sollievo del ragazzo, che ormai era rimasto solo nella sala destinata alle scelte più alte, ed era visibilmente scoraggiato, anche se ha detto di non essersi mai sentito come uno che sta perdendo soldi (per via dei contratti a scalare) “perché avevo in tasca un dollaro quando sono entrato qui e quel dollaro ce l’ho ancora”. Tra l’altro, Peter King di Sports Illustrated ha rivelato un particolare edificante a proposito di Savage: sapendo che ancora a poche ore dal draft l’agente di Quinn stava cercando di convincere i Raiders a prendere il suo protetto, Savage lo aveva chiamato dicendogli che certamente i Browns non lo avrebbero fatto, al numero 3, per consentirgli di trattare con Oakland ben sapendo che in caso di insuccesso (come è stato) non avrebbe potuto contare sull’atterraggio morbido di una chiamata al numero 3 da parte dei Browns, squadra nella quale Quinn aveva sempre sognato di giocare. Per inciso, come si è letto sul quotidiano Plain-Dealer, al primo giorno del minicamp con Cleveland il buon Quinn pare abbia effettuato un paio di lanci davvero brutti: causa vento (ma c’era anche a Notre Dame…), la traiettoria è stata molle, con pallone finito corto in entrambi i casi. Ma si spera siano bagatelle di cui ci si dimenticherà presto, anche se si deve ricordare che un Qb molto pubblicizzato ed in teoria pronto per la NFL perché allevato nell’ultimo biennio da Charlie Weis, l’ex assistente dei New England Patriors, è comunque scivolato alla chiamata numero 22.
4. Un curioso episodio rivelato da John Clayton di ESPN apre un argomento che da anni si infila nei discorsi di molti addetti ai lavori nel periodo, a dire il vero, tra metà dicembre ed il draft di aprile: quello delle condizioni fisiche di giocatori che terminano il college e si propongono per il draft. Dato che si tratta in molti casi di giocatori di primissimo piano, per loro quasi sempre l’uscita dal college vuol dire cene di premiazione, serate con discorso, presenze a manifestazioni varie, tutti eventi che terminano regolarmente con grandi mangiate. Aggiungendo le molte occasioni in cui le squadre pro per conoscere meglio questi candidati li portano a cena, succede spesso che già al momento della NFL Scouting Combine di Indianapolis di metà febbraio i suddetti giocatori abbiano messo su peso. E’ il caso del ricevitore Robert Meachem, che quando si è presentato a New Orleans (scelto dai Saints) è risultato qualche chilo più pesante del dovuto, e con un po’ di imbarazzo ha dovuto ammettere che l’eccesso di peso era probabilmente dovuto proprio al numero di cene, feste, ricevimenti, persino conferenze stampa (con buffet allegato), per non parlare naturalmente del fatto che viaggiando in continuazione non è facilissimo che quando si mangia qualcosa in fretta all’aeroporto si finisca con l’opzione più dietetica.
5. Brett Favre si è infilato in una strana situazione. Interpellato in occasione del torneo benefico di golf che organizza ogni anno, si è infatti lamentato pubblicamente per il mancato attivismo della dirigenza dei Green Bay Packers, nello specifico quando si trattava di fare un passo per ottenere dai Raiders il ricevitore Randy Moss, tipetto, lo si sa, turbolento e irrequieto, ‘squalificato’ per avere ammesso di prendersela comoda in certe azioni di gioco che non lo vedono coinvolto, ma atleta superbo e ricevitore, appunto, in grado di decidere una partita, quando gli gira, quando c’è. Evidente che per un Qb ormai anzianotto per la media NFL (a settembre saranno 38 anni) e con una linea d’attacco non tra le migliori della lega, con un gioco di corsa da reinventare (Ahman Green è andato come free agent a Houston) ed un arrivo per la difesa dal draft (Justin Harrell), la situazione da qui al training camp di luglio e ancor più quando inizierà la regular season non pare floridissima: in situazione di possibile difficoltà offensiva, un bersaglio come Moss è se non altro una piccola garanzia in più. Non pare peraltro vero che, come si è letto da qualche parte, l’agente di Favre valutando gli aspetti di cui sopra abbia chiesto la cessione del proprio assistito (tra l’altro, il Qb del Mississippi è inimmaginabile con una maglia che non sia quella dei Packers, ma se Michael Jordan ha vestito quella dei Wizards e Ronaldo quella del Milan è ovvio che può accadere tutto), però che di questo si sia parlato dopo le dichiarazioni di Favre è significativo. Comprensibile che un giocatore che ha vinto un Super Bowl e dato sempre tutto per la causa, portando la squadra ad un 8-8 quasi inatteso nel 2006, rimanga perplesso nel notare che a suo avviso la dirigenza non sta costruendo su quel risultato ma ha progetti a più lungo raggio, il guaio è che questi progetti, di per sé perfettamente legittimi e saggi, hanno il difetto di durare ben oltre il periodo in cui Favre sarà attivo. In più, venerdì (dopodomani) inizia il minicamp di tre giorni che è ormai un classico delle squadre NFL, una specie di mini-ritiro per mettersi avanti con alcuni temi tattici che verranno ovviamente ripresi tra un paio di mesi. E Favre ha già detto che non si farà vedere: non potrebbe comunque fare nulla perché si è operato alla caviglia, ma la presenza è obbligatoria anche per gli infortunati e i

convalescenti ed è da vedere come reagirà il coach Mike McCarthy se davvero il suo giocatore più rappresentativo se ne starà a casa.
6. Abbastanza sorprendente l’idea della NFL di portare a 17 il numero di partite stagionali per ogni squadra. Si è sempre pensato che da quando si è passati da 14 a 16 gare, sviluppate nell’arco di 17 settimane, si fosse raggiunto il limite: per resistenza dei giocatori, spese da sostenere per le squadre (e per i tifosi), portata reale della stagione, oltre che per la perfetta ambientazione atmosferica e temporale. Ovvero, si inizia con l’ultimo sole estivo (da qualche tempo sempre la seconda domenica di settembre per non coincidere con il weekend del Labor Day, ovvero il primo lunedì), si giocano splendide partite negli scenari leggiadri dell’autunno che arriva e passa, si termina con il freddo (non ovunque, ovvio), che tra l’altro è il ‘vero’ clima da football, secondo noi (comodo dirlo, eh? Tanto non dobbiamo giocare né chiudere gli spifferi di vento a Green Bay in dicembre…). Altre collocazioni sarebbero sacrilegio. Per questo l’idea di una settimana in più è parsa bizzarra: o si ritorna a giocare in quel fine settimana del Labor Day o si posticipa il Super Bowl alla seconda domenica di febbraio o si elimina nuovamente la domenica di sosta tra finali di conference e Super Bowl stesso. Un’aggiunta di interesse alla questione è stata data dalla NFL stessa, che ha sottolineato come la 17esima partita verrebbe giocata ove possibile in terra straniera, anche per non privare le squadre di una gara realmente casalinga: bella dal punto di vista promozionale, Miami Dolphins-New York Giants del 28 ottobre allo stadio di Wembley è un evento magnifico per tutti noi europei, ma ha fatto vorticosamente girare le scatole agli abbonati dei Dolphins e pure alle migliaia di tifosi dei Giants che risiedono in Florida, che vedono sparire una delle sole otto gare casalinghe. Mark Waller, vicepresidente della NFL International, ha buttato lì un risvolto da brivido: ospitare nella medesima città straniera una serie di partite, o comunque giocare fuori dagli USA una gara ogni settimana. “Potremmo fare dei mini-abbonamenti… Per esempio si potrebbe giocare a Wembley una partita al mese, tipo una in settembre, una in ottobre, una in novembre, una in dicembre”. Andrà come andrà (si farà), unico vantaggio certo: sparirebbe una delle quattro partite di precampionato, per la gioia forse non dei giocatori che cercano di ottenere un contratto, ma certamente di tutte le altre componenti: addetti ai lavori, allenatori, giornalisti, spettatori, che di partite fasulle non hanno alcuna voglia né bisogno. Il football non è concepibile come sport ‘amichevole’ (vedi il Pro Bowl, partita che ci rifiutiamo di vedere), dunque ben venga una gara ‘vera’ in più.
7. Spazio Italia ed Europa. Italia, Superbowl League A1: Briganti Napoli-Hi-Tech Media Warriors Bologna 0-42; Giants Bolzano-Dolphins Falconara 34-16; Marines Lazio-Panthers Parma 46-20. Classifica: Marines 5-0; Giants Bolzano 4-1; Warriors Bologna e Panthers Parma 3-2; Acufon Lions Bergamo e Rhinos Milano 1-2; Briganti Napoli e Dolphins Falconara 0-4. I Lions, tra l’altro, erano impegnati in Europa ma la sconfitta esterna per 28-27 contro gli Innsbruck Raiders ha tolto loro la possibilità di accedere alle semifinali dell’Eurobowl. Prossimo turno: sabato 19 alle 18.30 al Velodromo Vigorelli Rhinos-Acufon Lions, domenica 20 alle 17 allo stadio Roccheggiani di Falconara Dolphins-Briganti. Nella NFL Europa grandissimo equilibrio. Risultati: Hamburg Sea Devils-Amsterdam Admirals 24-17; Rhein Fire-Frankfurt Galaxy 27-24; Berlin Thunder-Cologne Centurions 10-24. Classifica: Frankfurt Galaxy, Cologne Centurions, Hamburg Sea Devils 3-2; Berlin Thunder, Amsterdam Admirals, Rhein Fire 2-3.

Roberto Gotta
chacmool@iol.it

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