Perché non riusciamo a guardare Quarterback

27 Luglio 2023 di Stefano Olivari

Abbiamo visto con attenzione il primo episodio di Quarterback, ma sul secondo ci siamo bloccati e non riusciamo ad andare avanti. Sono, in chiave piccolo borghese, un po’ i problemi di chi non riesce a leggere Proust sul treno per Foggia, ma ci sentivamo in dovere di condividere questo stato d’animo visto che gli appassionati di NFL sono tanti e di sicuro qualcuno ha provato a seguire questa nuova serie di una Netflix che sul filone sportivo sta puntando tanto. Ma perché non riusciamo ad andare avanti, visto che come qualità Quarterback sembra superiore al 90% delle cose che guardiamo abitualmente?

La docuserie, termine ormai fastidioso come ‘serie evento’, prodotta fra gli altri anche da Peyton Manning, è incentrata sull’ultima stagione di tre quarterback NFL di cilindrata diversa ma tutti e tre comunque famosi: la superstar Patrick Mahomes, l’ex predestinato Marcus Mariota, il sottovalutato Kirk Cousins. Per tutti è un alternarsi di racconto sportivo e racconto privato formato famiglia, del genere Totti e Ilary prima dei Rolex, con i momenti no sempre superati e un contorno di mogli amorevoli, amici simpatici, allenatori duri ma giusti, case da sogno, che sembra preso dalle peggiori pagine di giornalismo sportivo. Non manca ovviamente l’adrenalina cazzuta che sta alla base del football, ma quella la si vede anche su DAZN, raccontata da Roberto Gotta.

Le immagini, ed anche la fortuna di avere puntato su Mahomes arrivando così a raccontare il Super Bowl, dovrebbero bastare ma non ci incuriosiscono per la semplice ragione che noi la scorsa stagione NFL l’abbiamo seguita bene (orari italiani fantastici per come viviamo) e che del football amiamo soltanto le partite, senza storie umane di gente che sentiamo lontanissima per la semplice ragione che lo è. Possiamo resistere ad un brutto documentario su Riva o Baggio, ma non a uno su Mahomes. Cosa ce ne frega di lui? Che cosa abbiamo in comune? I personaggi lontani diventano interessanti soltanto con la chiave della fiction. Vedremmo dieci volte di fila Toro scatenato ma non un brutto documentario su Jake La Motta.

Il problema dei problemi è evidente: questo abuso di documentari, di docuserie e di fiction autorizzate sulle piattaforme di streaming ma anche sui canali lineari nasconde una enorme crisi di creatività. O meglio: una creatività non sufficiente a riempire di cose guardabili tutti questi canali. Fare grande fiction è difficilissimo, riempire in qualche modo le serate di gente che non legge, non gioca, non pensa, non parla (per non dire altro), è invece decisamente più facile ed in fondo il pubblico delle piattaforme è un po’ questo. Se tutto è mediamente interessante, come sanno quelli che passano ore a scegliere cosa vedere prima di andare a letto insoddisfatti, niente è interessante. E allora se ne può fare a meno.

stefano@indiscreto.net

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