Il ponte di Messina

3 Marzo 2009 di Flavio Suardi

di Flavio Suardi

Quattro anni fa in questi giorni, veniva comunicata, volutamente in ritardo, la notizia della scomparsa del Prof. Nico Messina. Un personaggio non sempre tenuto nella dovuta considerazione dal mondo della pallacanestro, che lo ha sempre un po’ snobbato mortificandone in qualche caso le indubbie capacità. Dicevano che le sue squadre si allenavano da sole, che la sua figura non era poi così decisiva ai fini delle vittorie. Intanto conquistò due scudetti (a dieci anni di distanza uno dall’altro) ed una Coppa dei Campioni con Varese, dove scoprì in primis un certo Dino Meneghin. Definirlo solo allenatore di basket potrebbe sembrare addirittura riduttivo: Messina era un uomo di sport a tutto tondo, visto come “maneggiava” le altre discipline, dal calcio per finire a canottaggio e boxe. Nato a Potenza nel 1922, visse un’esistenza a tratti tormentata. A soli 13 anni decise che voleva partecipare alla guerra d’Africa. Scappò di casa diverse volte, fino a quando riuscì a raggiungere Eboli mentre Mussolini teneva un discorso alle truppe. Chiese direttamente a lui di essere arruolato, ma data l’età venne rispedito a casa. A quel ragazzino venne dedicata una copertina della Domenica del Corriere. Non solo Meneghin, ma anche Ossola, Bovone e diversi altri, furono scoperti dal Prof, che pose le basi per i successi della Ignis di Nikolic prima (con lui direttore tecnico) e Gamba poi. Proprio nell’anno del suo rientro da capo allenatore in Lombardia, Messina fu in grado di rivincere quel titolo conquistato dieci anni prima. Nel 1968 c’erano il diciottenne Meneghin e poi Ossola, Flaborea, Raga, Rusconi e Malagoli. Dieci anni più tardi Meneghin era più vicino ai 30, Ossola li aveva superati e con loro assieme al Prof. troviamo Morse, Yelverton, Iellini, Bisson e Zanatta. Esattamente la stessa squadra che l’anno prima aveva vinto il titolo con Gamba. Tenere vivo il ricordo di personaggi come Nico Messina significa anche prendere una boccata d’ossigeno rispetto alla pallacanestro di oggi dove, specialmente nei settori giovanili, si bada molto di più alla fisicità e alla quantità atletica, piuttosto che concentrarsi sull’insegnamento della tecnica individuale. Altri tempi, è vero, ma il bianco e nero ha il suo fascino anche nell’era di internet. Non per nostalgia, ma per salvare il meglio di un grande passato.
flavio.suardi@gmail.com
(in esclusiva per Indiscreto)
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