Il notaio di Maertens e De Vlaeminck

1 Aprile 2010 di Simone Basso

di Simone Basso
Celebriamo la settimana santa, quella della religione ciclistica, dedicando una retrospettiva doverosa a due eroi fiamminghi dei Settanta. Nei giorni che ci portano a Fatima, l’ascesa mistica del Grammont, e in piazza San Pietro, il velodromo di Roubaix, un salmo all’estetica più barbara (e vera) di tutto lo sport professionistico.
L’epoca cannibalizzata dai flahutes di Eddy fu (a nostro modestissimo parere) la migliore di sempre della liturgia pedalata; i lanzichenecchi che devastarono l’Europa, sbranandosi anche tra loro, i visi più belli e brutali di questo esercizio masochistico. Bande Bonnot su velocipede che si scontrarono per la gloria e lo sterco del diavolo, solcando (dalle loro parti) stradine infami con proprio il colore tipico della merda: geneticamente modificati da quella savana in pavè, crebbero con la necessità di invadere e dominare. Si sfidarono in fretta per non soccombere, Roger De Vlaeminck e Freddy Maertens, nemici acerrimi che iniziarono a duellare già in pieno merckxismo: nemmeno un Neil Simon avrebbe potuto creare due campioni così antitetici. Scaltro, luciferino, implacabile il gitano di Eeklo; generoso, ingenuo, strapotente il biondo di Nieuwpoort. Vinsero, malgrado la concorrenza interna, tantissimo: pantagruelici nell’affrontare qualsiasi corsa, che fosse la Gand-Wevelgem o il criterium di Seraing, oltre ai denti affilati (come la iena Boris Karloff) non ebbero nulla da condividere. Entrambi indossarono, in fasi distinte della carriera, il rosso Liverpool della Flandria, casato nobiliare di quei giorni, ed ebbero nel povero Monseré lo specchio drammatico di un mestiere bastardo, durissimo.
Il fratellino di Eric Anfetamina fu fuoriditesta il giusto: Houdini della bicicletta, con il grande Jan Janssen potrebbe essere indicato il più incredibile acrobata nella gestione (precaria) del mezzo. Le due ruote come lo Stradivari, ci regalò perle di tecnica pura; per esempio entrando ed uscendo, beffardo, dai binari dei tram dei paesini attraversati… Funambolico, spericolato, unico: Mister Roubaix non si limitò all’acciottolato ma dominò ogni classica a disposizione, con quel cocktail rarissimo di classe e di istinto, quasi artistico, per la vittoria. Zingaro accompagnato dalla fortuna e da donne sempre bellissime, corse in Italia la parte più importante della carriera: con addosso il biancorossoblu della Brooklyn divenne un’icona pop, il simulacro dello sfregaselle matto e geniale. Ebbe la maledizione dell’iride su strada, penalizzato dalle feroci rivalità interne; lo sabotarono a Yvoir nel 1975, l’anno magico delle sette frazioni al Giro (quarto nella generale), la terza Rubè e del mondiale ciclocross.
Maertens e, noblesse obligue, Merckx lo fregarono: non che il Cannibale fosse invece un gentiluomo con il velocissimo Freddy.
La legge della giungla, il mors tua vita mea agonistico, fu applicata in ogni frangente; soprattutto con uno che, potenzialmente, fu il vero erede di Eddy. Al Montjuich (1973) l’orco preferì vedere vincere, pensate un po’, Gimondi… Maertens, incredibile, non vinse mai una classica monumento; una roba inaudita, considerando i mezzi esagerati a disposizione. In compenso trionfò quantitativamente proprio come il despota in maglia Molteni; fece suoi due mondiali e, credeteci, ne avrebbe potuto vincere almeno altri tre. Con quelle doti, in condizioni normali, fu quasi imbattibile per almeno un triennio: allievo di Driessens e discendente unico dell’imperatore Van Looy, aggiornò lo stile di Rik II. Se il campione di Herentals impose il dodici nelle volatissime, Freddy portò il padellone alle conseguenze estreme della cronometro; il rapporto duro, spinto ossessivamente, come credo filosofico. Il capitano leggendario della Faema ebbe la scorta della guardia rossa, Maertens fu il generale della Flandria con il trenino dei pretoriani Demeyer e Pollentier a lanciarlo. Forse lo sprinter più forte della storia, di sicuro il più completo: passista di vaglia, cronoman di alto livello (un G.P. delle Nazioni nel bottino), competitivo anche sulle salite. Dopo le otto tappe del Tour 1976, più di un tecnico lo vide come probabile vincitore di una Grand Boucle; ma non con quei ritmi competitivi folli, 220 gare all’anno e l’abuso di fra’ cortisone.
Storie di agguati, di alleanze segrete e di rivalità spaventose; nel 1977, all’apice del duello Roger-Freddy, si giunse al non plus ultra: sotterrarono l’ascia di guerra e, come in una piece pirandelliana, si presentarono da un notaio. I due clan, dopo anni di dispetti e coltellate, formalizzarono un accordo; la prima combine (!) ufficializzata da campioni appartenenti a squadre diverse: per non danneggiarsi ulteriormente, stabilirono un calendario di assistenza reciproca. La stagione di Freddy campione del mondo, quella delle cinquantatre vittorie (centocinque nel biennio 1976-77!), avrebbe potuto essere ancor più incredibile: al Fiandre, fotografia di famiglia del ciclismo belga; Merckx, De Vlaeminck e Maertens in fuga. Il vecchio despota fu abbandonato al suo destino e i due corsero verso il traguardo; Freddy forò e non aspettò la vettura, prese una bici dal fratello: quando rientrò sulla testa della corsa, un giudice gli comunicò la squalifica. Fedele al patto stipulato, vedendo il compare in crisi, lo portò letteralmente all’arrivo: Roger, quel giorno, vinse la Ronde Van Vlaanderen più surreale di sempre.
Tre dì dopo, alla Freccia Vallone, Maertens fece ancora un numero da super; partì a 47 chilometri dall’arrivo, sotto una bufera di neve, e schiantò gli avversari: a tre minuti, dispersi, gli inseguitori Moser e Saronni. Ma quella gara ebbe una vicenda postuma al pisciatoio; infatti l’iridato e altri venticinque (tra i quali Merckx, Kuiper, Sybille, Pollentier, Van Katwijk) risultarono positivi a un prodotto, lo Stymul, contenente efedrina e di gran moda in quel periodo. De Vlaeminck, in corsa, ne chiese una boccetta al buon Freddy ma quando gliela porse il gelo la mandò in frantumi…
La campagna spagnola alla Vuelta fu trionfale: il boss della Flandria mise l’amarillo al prologo e non lo mollò più, alla fine assommò anche tredici vittorie parziali, la maglia a punti ed il trofeo dei traguardi volanti. L’uragano si spostò al Giro e si aggiudicò sette tappe in otto giorni; al Mugello, il dominatore assoluto cadde durante lo sprint per una scorrettezza di Van Linden: da quella frattura, Maertens si inabissò progressivamente in una decadenza che interruppe, nella lunga estate 1981, per fasciarsi nuovamente con l’arcobaleno. Roger invece rincorse il titolo mondiale senza mai acciuffarlo, ma ebbe un tramonto da patriarca sereno e approfondì, smesso il biciclo per adulti, quella vena (parecchio fiamminga) da viveur stravagante. Freddy ebbe problemi con l’alcol e con il fisco: finiti quegli anni ruggenti si ritrovò squattrinato e senza lavoro.
Oggi, se avete voglia di andare a Oudenarde, è il custode del museo del ciclismo fiammingo; vi accoglierà con il suo sguardo da buono e un sorriso impacciato. Un’avvertenza però, se volete un suo autografo vi costerà dieci euro… Domenica prossima, guardando il Fiandre, considerando che i vari Cancellara, Boonen, Devolder, saranno impegnatissimi a rimanere in piedi nella bolgia, fate qualcosa per loro: all’approccio del Muur, quando la mulattiera si inerpica, fatevi il segno della croce.

Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)
Share this article