Avvocato di difesa, The Lincoln Lawyer

29 Aprile 2024 di Stefano Olivari

Mickey Haller è come fama il secondo dei personaggi creati dalla fantasia di Michael Connelly ed è il protagonista di Avvocato di difesa, la serie Netflix arrivata alla seconda stagione e che fra poco ne avrà anche una terza. Il titolo originale, The Lincoln Lawyer, rende meglio l’idea perché nei romanzi l’auto (una Lincoln Navigator targata NTGUILTY) è centrale, non è un mezzo di trasporto, con tanto di autista, ma un modo di essere visto che è lì che l’avvocato Haller, che (nei libri) non ha uno studio fisico, prepara, anzi non prepara, i suoi casi sparsi nei tribunali di mezza California, con processi a cui si presenta un nanosecondo prima dell’inizio dell’udienza.

A chi ha visto l’omonimo film del 2011, con Haller che ha il volto di Matthew McConaughey mentre nella serie è Manuel Garcia-Rulfo, diciamo che le storie della serie sono diverse ma che l’impostazione è uguale: clienti di Haller nella media sgradevoli, al di là della loro colpevolezza, ribaltamenti del vantaggio continui fra lui e la procura, casini suoi personali fra dipendenze ed una vita privata complicata, con due ex mogli con cui è sempre in contatto (Maggie, la nostra preferita perché siamo giustizialisti, è un pubblico ministero, Lorna la sua segretaria ma aspirante avvocato, oltre che moglie di Cisco, l’investigatore di Haller), una figlia adolescente, varie ed eventuali. Come al solito inutile il giochino delle differenze, possiamo chiuderla con il padre di Haller che nei libri è morto con lui piccolo mentre in televisione è una specie di consigliere-Super Io.

Perché dedicare 20 ore, in attesa della terza stagione, della propria vita a guardare questa serie? Perché il meccanismo narrativo è appassionante e non soltanto perché la base è di un genio come Connelly, al punto da far dimenticare le tasse woke da pagare: l’overdose di attori neri (che però hanno più senso nella Los Angeles di adesso che nell’Inghilterra dell’Ottocento), i cattivi che sono quasi sempre ricchi, la microcriminalità fatta passare per una fissazione del popolino, la polizia spesso sfottuta e di default violenta, spesso anche corrotta, i pistolotti che vengono fuori qua e là.

Perché non dedicare 20 ore della propria vita ad un serie che comunque è fra le più viste su Netflix? Quasi per gli stessi motivi per cui la si guarda: la sua assenza di pathos, la scarsa presenza di violenza o sesso, la sua semplicità che permette di stopparla e riprenderla, i suoi collaudati schemi da legal classico, con la prova decisiva che deve sempre arrivare e sai che più o meno alla fine sempre arriverà. Intrattenimento fatto bene, per dirla in poche parole, senza particolari guizzi. Festival del product placement, stando soltanto alle cose che abbiamo colto: davvero martellante quello di Uber, al livello del J&B nel cinema italiano anni Settanta. Va bene, siete californiani mentre da noi il POS non funziona mai (e non c’è Uber, soprattutto), ma non fatelo pesare.

stefano@indiscreto.net

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