Emanuela Orlandi, il rapimento che non c’è

17 Ottobre 2023 di Stefano Olivari

Il miglior libro scritto sulla vicenda di Emanuela Orlandi è l’ultimo, uscito la scorsa primavera, fra quelli scritti da Pino Nicotri: Emanuela Orlandi. Il rapimento che non c’è. Almeno secondo noi, che ne abbiamo letti tanti (tutti è impossibile). Come abbiamo scritto in occasione di altre recensioni, l’interesse non è per il caso in sé stesso, su cui si continua in concreto a sapere poco, ma per l’incredibile serie di depistaggi, complottismo e ordinari casi di protagonismo-mitomania che hanno caratterizzato indagini e ricostruzioni giornalistiche. Non a caso il pretesto per riparlare di Emanuela Orlandi è arrivato qualche giorno fa da due audio WhatsApp di persone, a detta del fratello Pietro, vicine a Papa Francesco che parlano del caso. Tutto vago, come al solito, con grandi rivelazioni sempre imminenti.

Il cuore del libro, pubblicato da Baldini+Castoldi, di una delle migliori firme del vero ed imperdibile Espresso è facilmente sintetizzabile: non c’è mai stata alcuna prova che la allora quindicenne ragazza romana, una delle poche persone con la cittadinanza vaticana per via del lavoro del padre (commesso in Vaticano e spesso a contatto con Papa Wojtyla), quel 22 giugno 1983 sia stata rapita, per ricattare il Papa o chissà per quali altri intrighi locali o internazionali. La pista del rapimento è diventata quella principale solo quando nell’Angelus del 3 luglio Wojtyla fece un appello a chi aveva rapito la Orlandi.

Eppure diversi magistrati, fra cui la prima ad occuparsi del caso, Margherita Gerunda, avevano preso in considerazione lo scenario purtroppo più logico e scontato quando scompare una ragazza, cioè un’aggressione a scopo di violenza sessuale, con fondate possibilità che la vittima conosca i suoi aggressori. Pista che dopo le parole del Papa fu accantonata nel nome di tutto quello che anche il più distratto telespettatore sa: lo Ior, la banda della Magliana, Calvi, Ali Agca, il KGB, terroristi di vario tipo, la pista bulgara, eccetera. Che Emanuela potesse conoscere il suo aggressore-rapitore, quel tardo pomeriggio dopo essere andata alla scuola di musica, è sempre stato ritenuto da molti, principalmente dalla sua famiglia, quasi un’ipotesi offensiva.

Eppure Emanuela Orlandi era una quindicenne con i problemi e le piccole ribellioni di una quindicenne, a maggior ragione in una famiglia abbastanza soffocante e con ruoli non ben chiari, che Nicotri racconta con mano leggera ma anche con precisione: una famiglia cattolicissima e ben inserita, sia pure a livelli medio-bassi, nel giro politico e vaticano. Da notare che l’uscita del libro è antecedente alle rivelazioni sullo zio degli Orlandi, Mario Meneguzzi, che nel periodo subito dopo il sequestro aveva preso in mano la situazione mettendosi fra la famiglia ed il resto del mondo. Comunque la si veda, una famiglia come tante, con i suoi tanti non detti ed i suoi segreti inconfessabili.

Nicotri ma anche chiunque non fosse stato bombardato per decenni con la tesi del rapimento con annesso complotto internazionale, che indubbiamente fa vendere di più di uno stupro seguito dalla morte, sottilinea che quello di Emanuela Orlandi sarebbe l’unico rapimento della storia in cui i rapitori non hanno mai fornito una prova credibile che ci sia stato un rapimento e dell’esistenza in vita del rapito, cosa che sarebbe la base per portare avanti il ricatto finanziario o politico.

Purtroppo al di là dell’identità degli assassini è quasi certo che Emanuela sia morta, non molto dopo la sua scomparsa. Poteva in vari contesti aver conosciuto persone sbagliate: la scuola di musica, gli studi televisivi dove andava a fare il pubblico, lo stesso Vaticano, la scuola, amici dei familiari. Il problema è che sono passati 40 anni e che quasi ogni sospetto è morto o sulla via per diventarlo. Non sapremo mai la verità su Emanuela Orlandi, ma con il complottismo internazionale basta.

stefano@indiscreto.net

 

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