Chi si merita i baciamaglia

14 Settembre 2009 di Dominique Antognoni

di Dominique Antognoni

1. Che noia i discorsi su come verrà accolto Ibrahimovic a San Siro. A chi importa? Di sicuro a Zlatan meno di zero ed è giusto e naturale che sia cosi. Un calciatore percepisce un lauto stipendio, si deve impegnare per meritarselo. Nel contratto non sta scritto che debba fingere commozione e tanto meno prodursi in frasi sdolcinate e ipocrite. Punto e fine della discussione. Però vai a farla capire ai giornali che riempiranno paginate con dei pareri pro e contro. Avete presente? I famosi 50 pareri, fra i cosi detti tifosi vip. Di cui 40 inventati, di solito.
2. L’unico, davvero l’unico, aspetto importante è quello strettamente sportivo. Per il resto che senso ha pretendere parole mielose? Quando mai ha chiesto Ibra qualcosa dalla tifoseria e dal pubblico? Ecco, non ha chiesto nulla e non vuole nulla. Anche perché molto meglio un calciatore che ha segnato 66 reti in tre anni e ha avuto un rapporto nullo con la gente che uno da dieci gol l’anno ma che esultava sotto la curva e baciava la maglia dalla mattina alla sera: ricordate Zamorano? Il calcio è un lavoro, non una commedia.
3. Magari fossero tutti come Ibra, zero parole e tanti fatti. Probabilmente è stato il più decisivo e importante calciatore interista dell’ultimo ventennio. A parte Ronaldo nella stagione 97-98 e qualche mese di Adriano impossibile trovare uno come lui. Andando indietro con il tempo possiamo perfino dire che solo Matthaeus gli è stato superiore dall’epoca di Herrera in poi. Monumentale e soprattutto onesto: mai detto quelle frasi inutili e banali sul calore della gente, bla bla bla. Non è il tipo, perché quindi fingere? A chi giova? E poi i tifosi sono uguali ovunque. l’interista scemo (o intelligente) è esattamente uguale allo juventino scemo (o intelligente) e al barcellonista scemo (o intelligente): poi tutti si illudono di essere migliori e ‘speciali’, oltre che di vivere in una città ‘unica al mondo’, ma la differenza la fanno solamente i piedi di chi va in campo insieme ai soldi ed al potere di chi dirige.
4. San Siro oppure Nou Camp, cosa cambia? Moratti lo ha sempre detto, seppur con un leggero tono polemico, quasi stizzito: “E’ un grande professionista, non si affeziona”, che tradotto significa che bada solo al sodo e non concede nulla. Ci mancherebbe altro. Lo abbiamo davvero ammirato quando alla fine della stagione passata, appena vinto il titolo di capocannoniere, disse di voler cambiare squadra. “Sai che provocherai un grosso dispiacere ai tifosi?”, chiese una giornalista. “E’ la vita”, rispose gelido. Non si è neppure sforzato di accennare mezza frase per loro. Come dargli torto? Uno gioca per la sua gioia personale, per la sua carriera. Vuole vincere, guadagnare, punto e stop. Tutto il resto è un contorno piacevole, che non deve imporgli nulla. E poi non ha scelto di cambiare squadra, ma di andare nel Barcellona. Era il suo grande sogno, forse l’unico. Ha 28 anni, gliene rimangono quattro da giocare ai più alti livelli. Lo vuole fare accanto a Messi e gli altri. Se a qualcuno non sta bene, pazienza. Lui é felice. Il resto, conta zero. E se qualcuno si metterà a gridargli infame, traditore e via dicendo, state tranquilli che a lui non importerà alcunché. Giustamente.
dominiqueantognoni@yahoo.it
(in esclusiva per Indiscreto)
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