Vale tutto, il vetrinista contro Sugar Ray Richardson
28 Gennaio 2015
di Fabrizio Provera
Sugar Ray, ma chi cazzo sei? E allora, sulla tavola imbandita di memorabilia da romantici old timers, sulla tavola dei ricordi, delle girandole, dei calembour, dei rimpianti per un basket che non c’è più ma di cui resta quanto meno la memoria, noi caliamo come fosse un peso da novanta Vale tutto. Le storie segrete della pallacanestro italiana (edito per i tipi di Italica edizioni, ‘maison’ letteraria molto intrigante, dietro il cui indubbio talento ci sono, e non è un caso, Enrico Brizzi, Samuele Zamuner e un nutrito staff), lo sfolgorante dono ai baskettari romantici che Lorenzo Sani, talento scrittorio classe 1958, cresciuto e ‘pasciuto’ dalla grassa munificenza di Basket City, ossia Bologna, ha fatto a un mondo del basket sempre più asfittico e privo di fantasia. Mentre difatti ci si trastulla in discussioni che rassomigliano sempre di più alle sessioni ‘rieducatrici’ da Grande Fratello orwelliano, mentre ci ‘sfruculiamo’ coi regolamenti, i diritti tivù, la visibilità che non c’è, i soldi che manco l’ombra, abbiamo tutti perso di vista, nonostante gli ammonimenti di Werther Pedrazzi, gli strali balcanici di Tavcar, che il problema è sempre quello: l’Uomo. Perché, lo dice giustamente Mario Boni nella prefazione, “La serenità che ti deriva dalla consapevolezza di poter fallire l’appuntamento, in definitiva quindi di accettare la sconfitta, è fondamentale per andare a vincere”.
Scandito in nove capitoli, nove storie nascoste, sepolte e ora dissotterrate, in Vale tutto quelle che forse abbiamo apprezzato di più sono legate a Bologna, città dove non a caso l’autore ha incrociato e ‘rabberciato’ storie incredibili, che ancora adesso – avendole lette e rilette – ci paiono più verosimili che vere. Un regista teatrale non avrebbe saputo far meglio, a partire dagli anni Settanta, quando Bologna aveva tre, diconsi tre squadre cittadine in serie A (Virtus, Fortitudo e Gira, targato Fernet Tonic). Bologna avvolgeva e avvinceva questi leggendari interpreti del gioco, molti dei quali amarono questa città visceralmente, d’un amore burrascoso, bruciante. Dal 1977 in poi, dall’era Porelli alle tifoserie indiavolate, dai bar spaccati in due dalla rivalità tra le due maggiorenti del basket ai locali notturni, dalle ragazze ai tortellini fumanti al Sangiovese, dalle pizze di Connie Hawkins a molto altro, come la contestazione e il “Tutto è Possibile” (variante ideologica sul tema di Vale tutto): a Bologna ci si divertiva, e parecchio.
Di culto assoluto è il ‘Sugar Ray, ma chi cazzo sei?’ dell’incipit, la storia del più incredibile vetrinista della Coin, Alessio ‘Ciccio’ Cantergiani, assiduo frequentatore delle minors (la provincia, di cui sopra… luogo dello spirito), che sfidò… Micheal Ray Richardson. ‘La notte che il Ciccio provò a riscrivere la storia, la luna indossava una luccicante collana di stelle’, recita l’attacco del capitolo, basato sul guanto di sfida che Ciccio Cantergiani – unico essere al mondo ad essersi guadagnato l’accesso alla Tribuna d’Onore dei campionati europei di basket 1989, appresso a Kreso Cosic, esibendo una tessera Bancomat, appena prima di fare amicizia con Lou Carnesecca diventandone un assiduo sodale – lanciò all’All Star Nba che dai dorati parquet americani finì a piazzale Azzarita, anche a causa dei suoi guai con la droga. Scoprirete così come nacque la sfida, quando un’astuta telefonata convinse Sugar Ray a sbrigare in tutta fretta una pratica amorosa per presentarsi in piena notte, nel settembre 1994, allo Zelig di Bologna; sul come reagirono gli astanti quando Sugar Ray – varcata la porta- lanciò un minaccioso ‘Who’s fucking Ciccio?’.
Vale tutto racconta del più ribollente campo di basket che l’Italia moderna ricordi, ossia quello di Carrara, dove la vena anarchica e la passione strapaesana, e tutta toscana, produsse sul finire dei Settanta il rettangolo di gioco più facinoroso a memoria di giocatore. Dove gli spettatori spegnevano sigarette sulle spalle dei malcapitati avversari, dove il nostro Werther Pedrazzi – ai tempi in cui giocava – venne ‘uncinato’ con un ombrello prima di una rimessa, e oltre a non fare un plissé l’arbitro lo minacciò facendogli intendere che, se avesse protestato, si sarebbe pure beccato un tecnico… Vale tutto ricorda Gianni Gualdi, classe 1958, nato nella Correggio di Luciano Ligabue (e molti altri talenti), divenuto una figura leggendaria per essere riuscito ad arrivare alle soglie della serie A giocando con una sola mano, dal momento che l’altra la perse da bambino.
Vi racconterà di quando Stefano Attruia e Leonardo Conti, anno 1993, nel mezzo della sanguinosa guerra balcanica, scelsero di andare a ‘farsi’ una sessione estiva con Dusko Vujosevic, che se ne stava rintanato in Montenegro, rischiando la propria pelle con un pallone di basket tra le mani, dal momento che dove viveva uno dei più classici prodotti della genialità tecnica jugoslava si rischiava non di saltare un allenamento, ma di saltare su qualche mina o di finire nel tiro al bersaglio di un cecchino. Leggerete cosa è successo a Roscoe Pondexter, il nome dirà qualcosa solo agli old timers, il cognome anche ai ragazzini che oggi si godono l’evoluzione del figlio Quincy in NBA. Quel figlio che ricalca i tratti del padre, che in Italia lasciò tracce indelebili coi suoi 198 centimetri per 105 chili di muscoli, un’ala dalla potenza devastante, che anni dopo sarebbe finito a fare il secondino nel carcere più violento degli Stati Uniti.
Vale tutto, in definitiva, è un luccicante compendio di narrazione che esalta le due doti essenziali, appunto, per ogni narrazione che si rispetti: l’epos sportivo e lo spazio narrativo , i suoi tempi e i suoi modi. In appendice a un altro libro di cui Indiscreto vi ha già parlato, quello di Flavio Tranqullo, Federico Buffa descrive così il suo sodale: ‘Un pomeriggio al compianto PalaSansiro arrivò la grande Scavo di allora, e con lei un numero brasiliano di radiocronisti. A fine gara ognuna delle radio chiedeva un parere al cronista locale, e io dissi a uno di loro, tale Diotallevi mi pare, che magari poteva rivolgersi al mio coequipier. Mentre Flavio parlava, sorridevo alla vista di Diotallevi, incerto sulla provenienza del meteorite che lo aveva investito. Aqui naceu o fenomeno’. Capito?
Fabrizio Provera, in esclusiva per Indiscreto
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