Superbowl tutto attaccato

28 Marzo 2007 di Roberto Gotta

1. E’ iniziato domenica scorsa il campionato italiano di football con la prima giornata, costituita peraltro da una sola partita, Briganti Napoli-Panthers Parma (0-35). Quest’anno il campionato di chiama Superbowl League A1: otto squadre, ogni squadra affronta tutte le altre, le prime due classificate passano direttamente alle semifinali, dove affronteranno le vincitrici del turno di playoff precedente, nel quale la terza giocherà contro la vincitrice della A2 e quarta e quinta si sfideranno, Superbowl (che in Italia si scrive tutto attaccato) a Scandiano, in provincia di Reggio Emilia, il 14 luglio. Le partecipanti sono Lions Bergamo, Warriors Bologna, Briganti Napoli, Panthers Parma, Dolphins Falconara, Giants Bolzano, Marines Lazio, Rhinos Milano. Un’analisi del football italiano e del suo attuale momento è impossibile qui, per ovvi motivi di spazio. Gli anni della crescita e della curiosità, gli anni Ottanta, avevano creato un movimento fin troppo grande in rapporto alle possibilità. E la caduta era stata fragorosa, con conseguenze molto negative per un lungo periodo, anche se fortunatamente l’opera di molti appassionati aveva consentito al football di non scomparire ed anzi a Bergamo i Lions sono da anni una delle realtà sportive locali più significative, oltre che una squadra di valore europeo. Il movimento football è indubbiamente in ripresa, ma c’è ancora un divario troppo grande tra il discreto numero di appassionati di questo sport, disposti a tutto pur di vedere una partita NFL in Tv, e chi di fatto decide di andare a vedere una partita del campionato italiano. Ecco, senza pretese, un nostro consiglio: fatelo. Guardate su www.nfli.it o su www.fiaf.net il calendario della A1, della A2, della B, degli altri campionati distribuiti nel corso dell’anno, e provate ad andare a vedere almeno una partita. Magari sedendovi accanto a qualcuno che possa spiegarvi quel che ancora non conoscete. Non fate caso agli atteggiamenti a volte assurdamente macho di alcuni giocatori e coach, non fate caso se il Qb non lancia la palla a 60 yards: è lo stesso football che vedete in Tv, e gli sforzi di gente che si allena su campacci e fa trasferte lunghissime in pullman vanno perlomeno premiati con il rispetto. Andiamo, andate, se potete.
2. Quella nella foto è una lattina di Coca Cola che rende omaggio agli Indianapolis Colts, campioni NFL. Non è in vendita ovunque, a quanto ci risulta, ma solo nell’area geografica nella quale ragionevolmente si trovano i tifosi dei Colts, ovvero l’Indiana e la parte di Ohio, Kentucky, Missouri, Illinois e Michigan che confina con l’Indiana. E’, se vogliamo, l’ennesimo esempio dell’importanza estrema dell’avere una franchigia pro di uno dei maggiori sport: non si rappresenta solo la città nella quale si ha sede, ma un’intera zona i cui potenziali tifosi si riconoscono nel club. Motivo per cui i New Orleans Hornets della NBA hanno fin dall’inizio cercato di vendere abbonamenti nel Mississippi e nell’Alabama, perlomeno nelle città adiacenti al confine, e dalle quali si possa arrivare all’arena in auto senza trascorrere la giornata per strada. Nel football e nel baseball è ovviamente la stessa cosa, ma questo spiega anche la popolarità immensa dello sport universitario: come abbiamo già scritto altre volte, ci sono intere zone degli Stati Uniti completamente prive di franchigie di uno dei quattro sport maggiori (football, baseball, basket, hockey in ordine di popolarità), e lì l’unica, vera, sentita espressione locale è il college, che oltretutto non può fare come una franchigia pro e spostarsi, se gli affari non vanno bene.
3. Non tutti conoscono l’Arena Football League, una versione indoor del football che si gioca su un campo di 50 yards, con squadre di otto giocatori, di cui sei obbligati a giocare sia in attacco sia in difesa, recinto (con protezioni imbottite) praticamente attaccato al campo, due reti alte circa 10 metri dietro ogni end zone, che hanno la caratteristica di tenere il pallone in gioco, in tutti i sensi: un lancio che colpisce la rete e rimbalza può essere ancora catturato finché il pallone non tocca terra, e solo in quel momento il passaggio stesso è incompleto, secondo il gergo del football. Spettacolare, con lanci continui e punteggi alti, il tipo di gioco dell’AFL è chiaramente fatto per il divertimento degli spettatori, e non per nulla la AFL ha creato sin dalla sua nascita una specie di carta dei diritti dei tifosi, che comprende vari aspetti fatti per favorire il contatto tra atleti e pubblico: come puro esempio, ogni pallone che per lancio imperfetto o qualunque altro sviluppo dell’azione finisce in tribuna viene per regolamento regalato al tifoso che lo ha preso, e si è calcolato che ogni franchigia dia via non meno di 15 palloni ogni volta. L’AFL gode di buon successo, a dispetto del (giustificato) scetticismo di chi, amando la versione originale dello sport, fatica a riconoscere un legame stretto tra le due entità, così come il calcetto o calcio a cinque è ovviamente, come preparazione fisica richiesta e doti generali, uno sport a parte e parente solo relativo del calcio. Nel corso del tempo l’AFL ha fatto notevoli progressi organizzativi, il che nel gergo americano significa anche che le squadre hanno sempre più spesso sede in città di dimensioni ed importanza medio alte, non solo nelle cosiddette cittadine di provincia che, come noto, rappresentano peraltro gran parte del territorio e della popolazione. Esiste anche una AFL2, in pratica una sorta di campionato di serie B dell’AFL, e questo sì che conserva una maggioranza di franchigie ospitate in città di dimensioni medie perlomeno per le abitudini americane, come può essere Louisville. Comunque sia, la già discreta popolarità della AFL, il cui campionato inizia in marzo e il cui commissioner è l’ex proprietario degli Anaheim Piranhas David Baker, uno degli uomini più massicci che ci sia mai capitato di vedere (sarà almeno 2.05 e 160 chili, troneggia su chiunque nella settimana del Super Bowl), verrà certamente accresciuta dall’accordo quinquennale stipulato con la ESPN per la trasmissione in diretta delle partite, il che vuol dire anche segnalazione dei risultati e attenzione maggiore nei notiziari tipo Sportscenter, il che prima non avveniva. Lunedì sera c’è stato peraltro un bizzarro episodio: durante la partita tra Dallas e Orlando (70-49), un lancio in touchdown nell’angolo destro della end zone è stato disturbato da… un tifoso, che salito sulla ringhiera nel tentativo di afferrare il pallone, un po’ come fanno i tifosi di baseball, è piombato in campo cadendo assieme al ricevitore e al defensive back. Il fatto curioso è che invece di essere preso per la collottola e trascinato via, come capita normalmente (e giustamente) a chiunque metta piede in campo in una manifestazione sportiva americana, il tizio è rimasto per qualche secondo in campo, agitandosi come se stesse ballando, ha indicato la tribuna con l’indice teso, vi ha buttato il pallone ed è tornato al suo posto, tranquillo. C’è chi ha sospettato una recita per creare un po’ di sensazione, e in effetti la scena è passata varie volte in televisione, ma pare anche improbabile che debba ricorrere a tali mezzucci una lega che ha comunque una credibilità, in cui il costo di una franchigia è ora di non meno di 20 milioni di dollari e che conta tra i proprietari di squadre personaggi come John Elway, Mike Ditka, Deion Sanders, Neil Smith, Ron Jaworski e Jon Bon Jovi (massì, a Philadelphia) oltre a proprietari di squadre NFL come Pat Bowlen (Denver) ed altri nove. Forse, semplicemente, quel tifoso è stato graziato…

Roberto Gotta
chacmool@iol.it

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