Attualità

L’oratorio digitale di Vieri e Corradi

Stefano Olivari 18/01/2023

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Tutti avrete già letto della nuova iniziativa imprenditoriale di Christian Vieri e Bernardo Corradi, il PLB World, da loro stessi definito ‘oratorio digitale’. In pratica uno spazio, a Milano in via Restelli (zona Isola), in cui videogamer dilettanti e aspiranti professionisti potranno allenarsi nelle varie postazioni, avendo a disposizione tutta una serie di servizi, fra cui una sala per lo streaming, consulenti di vario tipo e tutto quello che vi viene in mente. Vi risparmiamo i comunicati a colpi di entertainment hub, content creator, tiktoker, eccetera (ci saranno anche gli studi della Bobo Tv), e facciamo una domanda da Generazione X: chi sogna di diventare un professionista dei videogame è un cretino?

Non più di chi da piccolo sognasse di fare il tennista, il giornalista sportivo, il tassista, il veterinario, il carabiniere (citiamo i nostri primi cinque sogni, ma vale tutto), eccetera. In ultima analisi anche i pochi mestieri ‘utili’ (il medico e lo spazzino, mettiamo) sono inutili perché migliorano la vita ad un’umanità di teste di cazzo che non merita niente (lo pensiamo davvero), a partire da noi. Quindi gli indignati speciali del genere ‘Signora mia’ hanno poco da indignarsi: se uno già di suo passa la giornata davanti ai videogiochi non è che Vieri e Corradi siano Lucignolo, portandolo fuori dalla retta via e illudendolo di diventare professionista. Ci sono ragazzi anche più grandi che si iscrivono al Workshop di Sportitalia o, ai nostri tempi, a quelle scuole di giornalismo televisivo (ce n’era una con star Bruno Longhi) pubblicizzate sulle vetrine dei barbieri, poi sostituite da quelle per barman e piloti di droni.

La vera domanda è perché i ragazzi trovino più interessante lo schermo rispetto al gioco per così dire fisico, e non è una domanda retorica perché anche da vecchi quali siamo non abbiamo questi grandi ricordi nostalgici dell’oratorio o del giardinetto sotto casa. Non c’era gente che ci ha dato di più di FIFA 23 o di Call of Duty, anzi abbiamo soltanto perso del gran tempo senza imparare niente, al massimo a cambiare strada vedendo un tamarro a cento metri, mentre anche il più ritardato dei videogamer come minimo impara l’inglese. Questo al di là del fatto che i videogiochi certo non escludono la pratica di uno sport. Insomma, ci piacerebbe avere l’età per frequentare l’oratorio digitale.

stefano@indiscreto.net

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