L’assassino vende più libri

4 Aprile 2007 di Roberto Gotta

1. Qualcuno, in Italia, avrà letto “They call me assassin”, scritto da Jack Tatum (o meglio, da Bill Kuschner), uno dei defensive back più feroci della storia della NFL. Non bisogna mai trarre alcuna conclusione dai titoli di alcunché, visto che spesso sono solo specchietti per allodole quando non bugie vere e proprie, ma nel caso di Tatum, qualche legame con la realtà c’è. Tatum ha giocato nella NFL dal 1971 al 1980, chiudendo la carriera negli Houston Oilers, ma il suo nome è per sempre legato a quello degli Oakland Raiders di cui fu, in coppia con George Atkinson che era il strong safety, uno degli esponenti di maggiore notorietà, anche se la sua fama sconfinò spesso nella reputazione di chi, sul campo, giocava sporco. Premessa: in quegli anni vi erano regole lievemente diverse, meno protettive dell’attacco, per cui certi gesti non vanno valutati con i criteri di oggi. Però è evidente che da qualsiasi punto di vista il colpo che il 12 agosto del 1978 Tatum inflisse a Darryl Stingley, ricevitore dei New England Patriots (e loro prima scelta nel draft 1973), è destinato a restare argomento di polemica finché esisterà il football.
2. Andò così: era una partita di precampionato, il Qb dei Patriots, Steve Grogan, arretrò per lanciare in mezzo, il lancio però era lievemente lungo e Stingley (foto), che tagliava da destra a sinistra, lo sfiorò solo con la punta delle dita, senza prenderlo. A palla ormai andata, Tatum arrivò come una palla da demolizione e con il casco colpì Stingley frontalmente. Il povero Darryl crollò a terra senza muoversi, fu soccorso e portato fuori in barella, ma la diagnosi fu tremenda: rottura di due vertebre, lesione alla spina dorsale. Il che voleva dire paralisi a vita, per Stingley. Nel suo libro, da pagina 170 in poi, Tatum racconta e commenta il fatto, e corre in bilico tra dispiacere (“Pensare che un mio placcaggio ha rotto il collo ad un altro uomo e gli ha stroncato il futuro… beh, fa male a Darryl ma anche a me”, “Non sapevo se avrei potuto più giocare a football”, dopo quello che era successo) e fiducia di avere fatto la cosa giusta, date le regole dell’epoca, espressa in frasi come “Era una di quelle azioni in cui non avrei potuto comunque intercettare il pallone, per cui in base a quello che i miei datori di lavoro si aspettano da me per quello che mi pagano ho reagito automaticamente alla situazione cercando un colpo intimidatorio. Un buon colpo, ma niente di eccezionale, e infatti subito dopo mi sono girato per tornare nell’huddle. Ma Stingley non si è più alzato”. Ulteriori lumi vengono da una frase successiva: “In quella tragica partita i Patriots avevano avuto un certo successo con gli slant veloci (traiettorie diagonali rapide, con lancio immediato del Qb per un guadagno di poche yards, ndr) e noi della difesa abbiamo preso le misure necessarie contro quel tipo di schema. Purtroppo Stingley ne ha pagato il prezzo con un collo spezzato”.
3. Anche se a detta di alcuni compagni di squadra da quel momento Tatum cominciò a colpire meno forte e mai come aveva fatto nel Super Bowl XI vinto nel gennaio 1977 sui Vikings, quando una sua botta fece volare via il casco al ricevitore Sammy White che una volta a terra urlò “i miei occhi! Controllate se sono ancora al loro posto!” (interessante notare come Tatum abbia ammesso che avrebbe anche potuto intercettare il lancio, ma preferì la botta per far capire a White che non era il caso di correre altre traiettorie centrali). In realtà, i tifosi dei Patriots e molti osservatori neutrali hanno sempre ritenuto Tatum gravemente responsabile non solo di gioco sporco – non però in quell’azione, non fu chiamata neppure una penalità – ma di scarso rispetto, quasi freddezza verso Stingley, al quale non avrebbe mai rivolto pubblicamente un pensiero né avrebbe cercato di fare visita. Anche se c’è chi giura che Tatum abbia provato ad andare a trovare lo sfortunato avversario in ospedale e sia stato allontanato dai familiari, e chi, come il suo coach John Madden, che il suo rimorso privato sia stato infinitamente maggiore di quello pubblico. La rivalità accesa, quasi odio sportivo tra Pats e Raiders è dovuta anche a quell’episodio, che alcuni fanno risalire, nelle cause, ad un colpo proibito che al college Stingley (giocava a Purdue) avrebbe rifilato a Tatum, che vestiva la maglia di Ohio State, allenato da Woody Hayes, scomparso nel 1987, che certo di suo non ebbe mai una grande reputazione dal giorno in cui… entrò in campo a prendere a pugni un giocatore avversario durante un bowl.
4. La storia del tremendo colpo di Tatum a Stingley è tornata di attualità nei giorni scorsi perché Stingley è morto a soli 55 anni a Chicago, la sua città. Aveva continuato a lavorare come direttore esecutivo per i Patriots, che non avevano voluto abbandonarlo, ed aveva perdonato Tatum, ma non aveva voluto più incontrarlo, specialmente quando, nel 1996, aveva scoperto che un incontro pubblico in uno studio televisivo avrebbe rappresentato più che altro un ulteriore motivo promozionale per il terzo libro del suo carnefice, “Final confessions of NFL Assassin Jack Tatum”. I colpi che Tatum amava dare, di casco e anche con l’avambraccio usato come leva dal basso verso l’alto, “possibilmente” in modo che la traiettoria del detto avambraccio si interrompesse esattamente sotto il mento dell’avversario, veri e propri colpi di maglio che ora, appunto, sono illegali da tempo, ma all’epoca si usavano per ridurre a miti consigli ricevitori e running back. Abbiamo rivisto l’impatto tra Tatum e Stingley grazie ad un filmato di YouTube, ma sinceramente sconsigliamo di farlo (il che naturalmente porterà alla reazione opposta): per noi era importante verificare esattamente che le cose fossero andate come si è letto (un’agenzia di stampa, risentendo forse della pessima reputazione di Tatum, aveva scritto in un primo momento che si era trattato di un colpo a tradimento da dietro, ma poi si è corretta), ma sapere che quel gesto ha portato alla paralisi di una persona non può non far venire i brividi a chi sia dotato di un minimo di sensibilità. Tra l’altro, anche Tatum non se la passa molto bene: messosi ad operare nel settore immobiliare e poi come ristoratore – il suo locale era a Pittsburg (senza la ‘h’ finale, però), California, grottesco visto che gli Steelers erano sempre stati i suoi più grandi nemici, tra i tanti – si è poi ammalato di diabete nel 2003 ed ha subito l’amputazione parziale della gamba destra. Non ha rilasciato immediate dichiarazioni quando ha saputo della morte di Stingley, ma ha poi espresso dispiacere con un comunicato stampa dei Raiders, sua squadra a vita. Di lui riparleremo tra qualche tempo a proposito di un altro celebre episodio, per fortuna non luttuoso, che lo vide coinvolto, la Immaculate Reception. Appunto, un’altra storia.
5. Due genitori dell’Ohio, tifosi di Ohio State, hanno dato al figlio appena nato il nome di Tressel Hayes. O meglio, il padre si è imposto sulla consorte, che era dubbiosa. “Tressel Hayes Huffines, suona bene come una vittoria di OSU su Michigan” ha detto appunto il padre, Brent Huffines, ricordando il nome della squadra più odiata dai Buckeyes. Ma chi sono Tressel e Hayes? Hayes (foto) lo abbiamo ricordato più su, coach di OSU dal 1951 al 1978, vincitore di tre titoli NCAA di cui uno nel 1968 con Tatum in squadra, cacciato dopo quel pugno al giocatore di Clemson che è uno dei peggiori gesti di antisportività che si siano mai visti e contrasta tra l’altro con l’ottima reputazione che Hayes ebbe come professore – ebbene sì – a Ohio State. Tressel altri non è che Jim Tressel, coach in carica dal 2001 e vincitore del titolo NCAA nel 2002 (vittoria ottenuta nel gennaio 2003, il celebre Fiesta Bowl vinto su Miami dopo due tempi supplementari da urlo). E’ come se in Italia uno si chiamasse “Capello Lippi Aldrovandi”. Se non altro, non sempre questi giochetti vanno avanti: quel tifoso dei Bears che per una scommessa persa aveva cambiato nome in… Peyton Manning ha potuto fare marcia indiet

ro, costretto anche dai parenti. La prossima volta scommetterà un sacchetto di patatine, forse.
6. PS: tornando a Tatum e alla difesa, se volete guardare un placcaggio tecnicamente quasi perfetto, guardate invece quello di Patrick Willis, non per nulla All-American come linebacker a Mississippi e da seguire nel draft, su www.youtube.com/watch?v=_bM4sEmaFLQ&NR=1. Come spiegato qualche mese fa, un placcaggio del genere solleva l’avversario, pur se lanciato, e lo fa ricadere all’indietro, senza guadagnare ulteriori yards…

Roberto Gotta
chacmool@iol.it

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