La settimana di Prevert

1 Giugno 2009 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla stanza iperbarica di una casa trovata a Covadonga, Asturie, Spagna, paradiso per chi sente che il cerchio si stringe, partendo proprio da dove tutto appare più chiaro dalle prime ore del mattino, dalla porta di uscita di ogni pessimo umore. Rotolarsi su un tappeto persiano insieme al cane randagio che abita dentro di noi, mentre il muratore sfascia tutto, cambia le tubature, ma non promette niente di buono come le semifinali del basket che si arrampicano sulla nostra vita notturna ogni giorno della settimana, feroci, ma non imprevedibili. Feroci perché ci dicono quanto è distante il mare dalla montagna verde, non imprevedibili perché nessuno sembra divertirsi, anche se a Biella la pensano diversamente perché adesso avranno un incasso in più, un sogno più grande, una stagione da raccontare per il mese di maggio che ha cambiato la vita e la sciarpa di Atripaldi, di Savio, della nuova dirigenza. Con questa storia di una partita al giorno, che dovrebbe toglierti la noia di torno, non sai mai dove fermarti a pensare, perché non c’un fiume come per l’ispettore Adamsberg che riempie la vita di Fred Vargas, scrittrice, non pivot, una pianta come per gli uomini a rovescio.
Vediamo di seguire Prevert e la canzone del mese di maggio che può benissimo andare bene anche per quello di giugno:
L’asino, il re ed io
Saremo morti domani
Di fame l’asino
Di noia il re
E io d’amore
La vita è una ciliegia
E’ un nocciolo la morte
Un ciliegio l’amore.
Andiamo per ordine. Varese lunedì 25 maggio: un sindaco che ama il basket, che ama Varese, decide di dare la cittadinanza onoraria a Bob Morse che torna sulla vecchia alfetta, torna con il suo sorriso che la malattia ha stravolto rubandogli i capelli che un tempo erano elmetto per le guerre dell’invincibile armata. Vocione, pensieroni, sorrisetti, senso del ritmo e del tempo, ma noi, come il Grigoletti di montagna che si lamenta per non essere stato trovato e quindi invitato alla fiesta, siamo rimasti ai giorni dell’addio, quelli dove qualcosa ci separò per sempre: lasciava il paradiso, la gloria, ma sembrava che non ne soffrisse, che fosse distaccato. Unico pensiero piazzare il cagnone che poi si prese Zanatta. Certo che fu grandissimo, certo che è stato bello ritrovarlo, sentirgli dire che Varese è sempre nel suo cuore, ma è stato molto più bello rivedere il mondo che girava insieme a lui, ascoltare Giancarlo Gualco, l’architetto del grande progetto Ignis, che adesso non riesce più a camminare, a seguire i suoi adorati cavalli, ma non ha perso la memoria e l’arguzia. Con il quintetto Rusconi, Ossola, Zanatta, Meneghin e Bisson, in visita parenti autorizzata, si potrebbe giocare anche adesso, mettendo nel gruppo Raga, Morse, Yelverton ed un pivottone di riserva a caso. Si potrebbe fare qualcosa di buono anche con i ragazzi della cantera varesina: c’erano tutti, da Gualco a Mottini, da Carraria a Caneva, da Consonni ai Bulgheroni, c’era anche Lucarelli, non mancava Galleani, non poteva mancare la Midia Borghi geniale, ma è stato bello seguire Guido Borghi sul sentiero verso Monti Sacri, ricordando famiglie e storie, una bella sintesi, una bella notte come diceva Sandro Gamba interpretando anche il pensiero di Aza Nikolic e di Nico Messina. La notte di Varese fa registrare l’ultimo sussulto Virtus. Lo vedi di notte e nelle facce leggi che è tutto finito. Basta aspettare, ma Prevert è già in giro col taccuino come avrete letto sopra a proposito di asini e di re.
Martedì 26 maggio: Roma scopre che la sua squadra di basket non ha dentro quasi niente perché è stata costruita senza una logica tecnica. Nessun vero capo giocatore, non raccontateci che Becirovic è un genio da lampada cestistica, non certo questo Becirovic, nessun centro capace di dare una costola per compagni smaniosi. Poi il resto della zuppa, dal Douglas che a Valencia non hanno mandato via soltanto perché avevano perso un assegno, al Jennings che dal primo giorno sarebbe stato equivoco come il Jaaber lasciato andare con le briglie sciolte nella steppa bulgara. Sostituire i Repesa non è così facile, più facile calunniarli, criticarli, metterli alla berlina confidando nella loro buona educazione, sportiva ed umana. Dove erano nella notte delle lacrime e degli urli i cantori del cielo che avevano visto un’aria diversa sui tetti intorno all’Eur, con giocatori finalmente liberati dall’orco che pensava a maggio, a giugno, che pensava allo sviluppo di un progetto anche con giocatori mediocri o, addirittura, sbagliati? Niente di nuovo dal fronte capitolino. Assoluzione e benedizione come nel calcio non avrebbero mai fatto. Certo meglio la pace fra gli ulivi che la buriana mediatica, ma anche con la verità si potrebbe fare pace.
Mercoledì 27 maggio: sfida definitiva fra squadre con progetti diversi, bello quello Benetton, confuso quello Virtus, battaglia ad armi pari nella lotta mentale perché Boniciolli e Mahmuti sanno di essere quasi congedati, anche se per motivi diversi. Sul campo la Virtus scopre la sua leggerezza mentale che nasce alla fonte, dove Boykins non è certo il fenomeno che i cantori barbuti proponevano all’inizio dell’anno domandandosi se in Italia avevamo mai visto un play del genere. Poi pensiamo a Ford, imperiale nel salto, leggero come una maionese andata in vacca quando c’è da fare a spintoni sotto canestro. Boniciolli paga la sua voglia di raccontare la verità anche quando fa male, ha pagato la speranza di correggere in corsa una squadra che soltanto gli assetati del deserto potevano vedere come oasi vicina alla Mecca senese. Roma e Virtus erano squadre mai nate, vendute come ricche, ma soltanto perché in effetti avevano speso in maniera esagerata senza mettere una base al progetto. Come da copione il Sabatini furioso ha scaricato tutti il giorno dopo. Ne farà fuori altri e intanto ha presentato le cifre alla città. Ha detto il vero, senza l’aiuto della gente che paga non si può correre, ma dovrà pure ammettere che dalla finale persa con Markovski è sempre stato lui a cambiare le carte e i giocatori in tavola.
Giovedì 26 maggio: non si gioca e ci si gode tutto Fiorello, in finta diretta e in replica. Trasmette da Roma e allora seguiamo una traccia che ci spalanca nuovi mondi: Niccolò Civelli, un ragazzo di Como, tifoso di Cantù, che studia nella scuola del cinema romana, ha convinto Tommaso Vimercati, altro comasco-canturino, sceneggiatore, a lavorare su un progetto per fare della vita di Chicco Ravaglia, del suo sorriso, della sua vita rubata 10 anni fa, un film, una storia che abbia qualcosa da raccontare anche a questi ragazzi che sbattono le alucce e si fanno trovare sena un’anima. Giornata per pensare anche alla situazione complessa della Nazionale perché fra Meneghin e Recalcati c’è qualcosa che non va. Il tecnico vuole un part time, il presidente tentenna, ma non può neppure garantire che gli confermerà l’incarico se d
ovesse andare male nel recupero per gli Europei. Una storia nata male ai tempi in cui chi lavorava dietro le quinte, con la famosa schiena dritta o perlomeno a curvatura variabile sui monti orridi, ha mandato in confusione chi voleva convincerci che si può diventare grandi allenatori soltanto mettendo le crocette al posto giusto, chi andava dicendo in giro che senza certe trovate geniali sarebbe stato diluvio. Magari lo sarà lo stesso, ma siamo sicuri che come scuola allenatori possiamo cavarcela ancora, anche senza il progetto Gebbia, perché di gente da mandare in giro a diffondere il verbo, ad insegnare cose ce ne abbiamo abbastanza. Dodo Rusconi, ad esempio, si è offerto alla vecchia Robur per insegnare di nuovo quello che Gianni Asti ha fatto dai tempi del forza fioeu del caro Trombetta. E non è l’unico.
Venerdì 29 maggio: Milano sfoglia la margherita e scopre di avere qualcuno che l’ama davvero. Si trova Biella in casa, si trova Jobey Thomas sul campo invece che nel parco di Trenno perché l’incidente di Sow riapre la porta al duro che dura, trova dentro ad un cavolo Marconato, sistema tante cose e si prende pure il vantaggio del campo. Certo il basket che aspettava Roma-Milano ne soffre, ma non è colpa di Biella se gli altri sono asini al tramonto. Comunque sia i colpi di fortuna, accolti in maniera strana da chi dirige la banda sfiduciando i più generosi, non bastano per liberare la gioia di vivere armanica perché forse non sa cosa sia visto che nel nuovo collegio al Lido la parola d’ordine è fare gruppo silenziosamente, tenere lontano i bacilli della Milano che pure fu grande, nascondere l’umor nero di qualche genio incompreso, cambiare senza dare l’idea di volerlo fare. Sul campo, davanti ad avversari sfiniti dalla serie con Roma, con un allenatore dato per quasi partente, perché adesso lo vorrebbero in tanti, serve un grande Thomas, serve il colpo di coda che aiutò l’Armani ad eliminare Teramo dove, si dice, non sono giorni facili per David Moss che sembra già accasato altrove. Certo Biella ha l’ultima palla da giocare, ma la consegna a Gaines e allora perché perdere tempo a guardare dove andrà il tiro? Per l’Armani festa in borgo, anche se qualcuno dovrebbe chiedersi perché una squadra così, una semifinalista, deve avere sempre il capo claque alla sbarra che invita la gente ad alzarsi, deve avere giocatori che si sbracciano per chiedere alla gente di sbracciarsi. Non volendo parlare con chi aveva fatto dell’Olimpia un capolavoro si vadano almeno a prendere i filmati: le squadre vere, dicono a Varese, Cantù, Bologna, fanno scattare dalla sedia la gente, quelle finte hanno bisogno del trucco.
Sabato 30 giugno: trovare Siena e Treviso in una semifinale ci riporta a due anni fa quando pensavamo che l’alleanza fra le società più belle avrebbe dato al basket il regno di Camelot. Un attimo, un tempo e mezzo per sognare. Bella la Benetton, normale, appena normale Siena, ma proprio per questo ci si domanda perché non è staccata, non insegue, ma è lì sul collo della nemica. Quando Pianigiani mette i piedi della squadra nella vasca con le razze elettriche scopri come andrà a finire gara uno, ti rispondi che non c’è corsa, anche se questa Benetton ha davanti un bel futuro e dietro le spalle una vera storia.
Domenica 31 giugno: Biella si guadagna l’altra metà del paradiso conquistato a Roma. Pareggia contro Milano nella partita dove le 21 palle perse, da gente senza fosforo di qua e al di là del Rincosur di Carisio, si estende in un supplementare che manda in paranoia le redazioni che si aspettavano una domenica dove il lavoro si può fare bene e le partite hanno un senso anche alle diciotto. Guai, però, farne parola con la Lega, diventano elettrici adesso che pensano alla Sette per sostituire Sky, adesso che sono seduti in piazza pronti a farsi lo sbudellamento volontario. Cara gente tenetevi chi urla dieci volte pazzesco se un giocatore, ben pagato, ben oliato, infila un canestro da tre a pochi secondi dalla fine. E’ vero che non c’è nulla di eroico o pazzesco, ma fate finta che certa gente parli al mercato del fieno, per il resto fate attenzione a cambiare.
Oscar Eleni
(per gentile concessione dell’autore)
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