La democrazia è una bomba

15 Maggio 2012 di Fabrizio Provera

Il Fini ultima versione, almeno per chi lo legge da poco e non da sempre come il sottoscritto (che dichiara apertamente la sua predilezione per il Fini pensiero, pur non condividendone talune posizioni, ma ammirandone il coraggio e la coerenza esemplare), è quello che da anni denuncia le storture e le violazioni del Diritto Internazionale degli Stati Uniti e delle forze occidentali che, dalla caduta del Muro di Berlino ad oggi, si sono impegnate in quelle che Fini chiama le Guerre Democratiche, innescate col grimaldello dei cosiddetti Diritti Umani. La Guerra Democratica, opera ultima del pensiero finiano edita da Chiarelettere, raccoglie articoli pubblicati tra il 1985 e il 2012 su diverse testate, accomunati dal tema: nello specifico le guerre tra Iran e Irak, quella del Golfo, contro la Serbia, la Libia, l’Afghanistan.

Per chi, come me, intervistò Massimo Fini nel 1993, quand’era sconosciuto ai più, la più grande soddisfazione è stata vedere ‘Sudditi’, un polemico pamphlet di Fini sulla guerra afgana, arrivare al primo posto nella classifica della saggistica, nel 2005. Da allora, e sino ad oggi, Fini continua a credere che “la guerra democratica si fa ma non si dichiara. La si fa chiamandola con altri nomi, preferibilmente missione umanitaria”. Fini crede che “il combattente che non combatte perde ogni legittimità, ogni dignità e ogni onore”, in primis i comandanti americani che nel 1991 uccidono, con le cosiddette ‘bombe intelligenti’, 32.195 bambini iracheni (lo scrive decine di volte, nel libro), sganciando ordigni comandati da basi collocate in America. Bombe sganciate contro uno Stato, l’Iraq, che nel 1985 viene armato fino ai denti dagli americani stessi, sovvertendo l’esito della guerra contro l’Iran di Khomeini, arrivato a pochi chilometri dal confine e da Baghdad e vincitore sul campo prima dell’intervento occidentale.

Fini crede che sia ipocrita l’atteggiamento di chi, come gli Stati Uniti, finanzia con cifre da capogiro gli insorgenti Talebani dal 1980 in poi (vicenda narrata in un bellissimo film, La guerra privata di Charlie Wilson, nel quale Tom Hanks dà il volto a un deputato democratico, bon vivant, un tantino puttaniere e amante del whisky scozzese single malt, che ottiene da Congresso e Cia la fornitura di armi in grado di abbattere gli elicotteri dell’Armata Rossa. Armi che in seguito saranno utilizzate per uccidere soldati americani, figli di contribuenti che di fatto hanno armato gli uccisori del loro stesso sangue), salvo poi gettarsi a capofitto in una guerra contro il Mullah Omar, leader degli ex alleati Talebani, che Fini tratta con malcelata ammirazione. Il Mullah che, ferito in battaglia, si estrae l’occhio dall’orbita per poi fasciarsi il capo, senza troppe lamentele. Il Mullah inseguito dai servizi di intelligence più ricchi e potenti del mondo, e che secondo la vulgata leggendaria fugge lungo gli altipiani e i deserti afgani in sella a un Caballero impolverato e sgangherato, come un qualsiasi adolescente di Cusano Milanino o di Pizzighettone nei primi anni Ottanta. Fini difende apertamente i Talebani, la loro legittimità a governare una nazione martoriata da decenni di guerra, a detta di Fini libera di autodeterminare il proprio destino.

La critica più serrata, tuttavia, Fini la rivolge contro l’intervento della Nato contro la Serbia di Milosevic, nei primi anni Novanta. La ragione è presto detta: “In Bosnia tre popoli, serbi, croati e musulmani, diversi per etnia, religione, cultura, divisi da rivalità ancestrali, si stanno battendo per spartirsi quel che resta della ex Jugoslavia, lottano per difendere quelle che ritengono essere le proprie terre, i propri costumi e i propri diritti. Nella ex Jugoslavia non ci sono né buoni né cattivi. Ci sono tre popoli che si battono per ragioni di certo non meno valide di quelle ideologiche, con cui i vincitori dell’ultimo conflitto mondiale hanno insanguinato il pianeta”. A Fini fanno orrore le presunte ragioni umanitarie che mascherano evidenti, e in molti casi comprensibili, ragioni di egemonia geopolitica, economica o commerciale. A Fini fanno orrore quelle società, e quei popoli, “che devono recuperare un po’ di coraggio, senso della dignità ed onore, un po’ di sana barbarie”.

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