Calcio
In ginocchio da te, giocati come Carmelo Bene
Stefano Olivari 12/08/2023
Chi si ricorda di Carmelo Bene? Un facile sondaggio dimostrerebbe che anche persone non ignoranti risponderebbero come Fedez su Strehler e del resto anche noi fenomeni ai nostri tempi, senza Google, non è che fossimo tanto informati sul teatro italiano di trenta anni prima. Detto questo, chi ha avuto la fortuna anche da non esperto di teatro di assistere a uno spettacolo di Bene (nella nostra modestia lo vedemmo al Lirico nel Macbeth) di sicuro apprezzerà In ginocchio da te, il libro pubblicato da Gog che raccoglie il pensiero sportivo dal grande attore, espresso nella sua rubrica sul Messaggero dal 1982 al 1985 e negli interventi a Zona, su Telepiù, a fine anni Novanta.
Sì, perché Bene non è materia solo per gli studiosi delle avanguardie teatrali ma era anche un personaggio superpop, a volte ospite da Biscardi e comunque attento a tutto il mondo, non soltanto a quello intorno al palcoscenico. Non sapendo niente di teatro, di Bene ci affascinava il fatto che nel 1982 fosse probabilmente l’unico italiano a non essere salito sul carro di Bearzot: della Nazionale campione del mondo disprezzava non il gioco all’italiana, che comunque da cultore del Brasile detestava, ma paradossalmente il fatto che le quattro partite decisive non c’entrassero niente con l’ideologia di quella squadra. In altre parole, Bene non sopportava, e nella rubrica per il Messaggero lo spiega bene, che una vittoria ottenuta giocando fuori dagli schemi fosse passata per una vittoria nel solco della tradizione, con tanto di presa in giro di chi aveva provato a giocare a calcio.
Va da sé che la squadra preferita di Bene fosse la Roma di Liedholm, più che preferita l’unica degna di essere definita squadra di calcio, l’unica con un centrocampo che costruisse qualcosa, contrariamente alla tradizione italiana. Una Roma che durante la sua stagione d’oro, quella 1982-83, si presentò al completo, da Liedholm a Chierico, al teatro Quirino per assistere al Macbeth nella versione di Bene, con tanto di incontro nei camerini. Bene della Roma nemmeno era tifoso (lo era del Milan), ma da esteta sapeva capire, a teatro, nel calcio e in ogni aspetto della vita, la differenza fra chi gioca, per quanto bravo sia, e chi è “è giocato”. Il professionista gioca, il fuoriclasse è giocato ed è fuoriclasse non perché colpisca il pallone meglio degli altri ma perché fa cose al di là della sua volontà.
È evidente che Bene pensasse anche a sé stesso, attore ‘agito’ e non schiavo del compitino per un pubblico morto. Giocato era Falcão, idolo assoluto dell’attore salentino, in una Roma che secondo Bene per essere perfetta avrebbe dovuto giocare senza Pruzzo, da sostituire con Socrates. In alternativa Roma con Pruzzo ma comprando per il centrocampo Cerezo: cosa che poi si sarebbe verificata. Interessanti le riflessioni sulla vittoria, che non è alzare la coppa ma esportare la propria cultura (detta così siamo in zona Adani, ma Bene la spiega meglio) e un po’ forzati gli interventi registrati per Telepiù, ma in ogni riga intelligenza pura (straordinaria la spiegazione della classe di Borg) e amore per lo sport da competente, senza intellettualismi se non per prendere in giro gli intellettuali, oltre ai giornalisti sportivi, Brera in testa.
stefano@indiscreto.net