Il viaggio di Meneghin

30 Gennaio 2010 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
Aspettando un Milano-Varese zavorrato dal blocco alle auto, pensando ad un significato che manca. Non solo per motivi di classifica…
 
Bello il silenzio nelle vigilie, delle notti insonni che precedevano una partita fra Milano e Varese. Per anni era la sfida scudetto, per mesi si pensava soltanto a quella. Meglio, poi, se c’era il prolungamento negli spareggi in campo neutro, quando già era stata liberata la mente dal pregiudizio e si potevano designare arbitri lombardi. Il silenzio ti avvisava, alla secondaria del Palalido, a Masnago, che quella era la settimana speciale per tutti: il dutur Cattaneo, Capellini prima e poi Galleani, fisioterapisti che sussurravano ad ogni tipo di cavallo, sapevano che non esisteva infortunio da curare con il riposo. Kenney, il mastino, il guerriero in rosso, prendeva una scatola intera di pasticche antiinfiammatorie per far sgonfiare una caviglia diventata melone a 48 ore dal viaggio. Meneghin cacciava via tutti, anche se gli dicevano che forse sarebbe stato meglio andare all’ospedale. 
Che meraviglia, che attese. Pazienza se poi la storia, in pratica, finì nel terzo spareggio di Bologna, era un 25 asprile, era il 1973, portandosi dietro tutto, le liti per l’italianizzazione di Tony Gennari di qualche anno prima, altro spareggio, ma a Roma, la guerra psicologica che faceva godere Borghi più di Bogoncelli. Era proprio il 1973 quando in piazza Azzarita il grande Cesare Rubini disse addio alla panchina e il Simmenthal abbandonò quel basket che aveva svuotato le sue bistecche in gelatina: accidenti erano più famosi i giocatori di quella carne in scatola diceva il sciur Gamba che in tempi estremi faceva il rappresentante, si curava in viaggio, ma poi era sempre pronto alla battaglia: da giocatore e da vice Principe con Milano, da capo allenatore con Varese già l’anno dopo, quando si era congedato il professor Aza Nikolic perché aveva altri progetti in mente e la sua cara terra se lo ricorda ancora. 
Purtroppo da noi questi progetti li vorremmo proprio adesso, senza illuderci che il viaggio americano del presidente Meneghin abbia davvero risvegliato la coscienza nazionale di Gallinari, Bargnani e Belinelli, tre giovanotti della generazione che oggi non saprebbe dirvi se un Milano-Varese ha davvero dentro qualcosa di speciale. Loro hanno altro a cui pensare, dollari su cui contare, storie nuove da vivere lontano lontano, anche se poi fingono di essere vicino vicino. In effetti non è così anche per la gente, quella che ha scoperto le sfortune da smog perché sembra una comica il divieto di circolazione a Milano delle auto proprio nel mezzogiorno per un’Armani che non sembra mai bella e una Cimberio che non sembra mai salva. 
Per fortuna ci sarà la televisione, ma non è mai la stessa cosa. Si girerà in navetta o, magari, faranno finta di non vedere le auto dirette al Forum gli stessi vigili che non multeranno i tifosi diretti a San Siro. Da vedere ci sarebbero i giocatori, le squadre che si sono lasciate in malo modo alla prima giornata di campionato quando Pillastrini trovò tutti gli assi che poi gli sono stati portati via dagli infortuni, quando Bucchi si rese conto che l’estate non era durata abbastanza per cucire addosso alla sua nuova squadra un vestito adatto. Due incompiute, due non totalmente felici. Forse una di loro troverà il quadrifoglio per andare avanti in una stagione dove per adesso fa soltanto molto freddo.
Oscar Eleni
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