Il tempo di vincere, la lezione di Ladouceur

16 Luglio 2015 di Stefano Olivari

Aaahhh, gli americani sì che li sanno fare i film sullo sport. Ma anche no, a volte. E una di queste coincide con Il tempo di vincere (titolo originale When the game stands tall), visto di recente su Sky Cinema, opera di  quel Thomas Carter che con Coach Carter-Samuel L. Jackson e la pallacanestro aveva ottenuto risultati migliori ma comunque inferiori al suo hit, Save the last dance. Qui si parla di football di high school ed in particolare dell’epopea della De La Salle e del suo allenatore Bob Ladouceur. La striscia di imbattibilità della scuola californiana, dal 1992 al 2003 (151 partite), ha stupito tutta l’America ma il segreto di Ladouceur non risiede in un playbook geniale o in pep talk alla Any given Sunday. L’allenatore-insegnante, interpretato da Jim Caviezel, non solo afferma ma è davvero convinto che lo sport sia un mezzo per formare uomini e non un fine in se stesso, nemmeno quando quell’uno su mille raggiunge la gloria NFL. Ladouceur sia nel film che nella realtà applica il concetto anche a se stesso, rifiutando numerose e ricche proposte di squadre di college per ripartire in pratica sempre da zero. La storia è molto bella e fondata, ma la retorica del coach-educatore è oltre il livello di guardia, con i personaggi di contorno quasi tutti stereotipati. Dalla moglie casalinga non disperata, interpretata da Laura Dern, al figlio Danny che fa fatica a reggere il confronto con il mito paterno, dall’infarto del coach fino al quarterback Chris Ryan che soffre per le pressioni del padre che lo spinge ad inseguire record personali invece che a pensare al bene della squadra. Le scene di gioco sono ridotte opportunamente al minimo, tutto ruota intorno alla figura del coach-predicatore, con una immedesimazione di Caviezel che si fonde con la recitazione: essendo lui sia un cattolico tradizionalista che interviene a convegni e discussioni su temi etici, sia un appassionato di football (fra l’altro è cognato dell’attuale offensive coordinator dei Dallas Cowboys, Scott Linehan). Insomma, un film che si può guardare ma non riguardare, con però una scena memorabile (che non spoileriamo), quando Ryan sta per battere il record di touchdown dello stato della California. Certo non si può paragonare all’affresco corale di Friday Night Lights e alla commovente genialità di Touchback, per citare solo football di high school (con college e NFL gli agganci cinematografici sarebbero mille) che ci viene in mente, ma è girato con mestiere e non offende questo sport.

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