Il Divin Codino, tutto l’amore per Baggio

Recensione del film sul fuoriclasse della Nazionale e di tanti club, andato in onda su Netflix. La scelta è stata quella di raccontare il privato, più che il calcio...

28 Maggio 2021 di Stefano Olivari

Ci sono pochi calciatori rispettati da tutte le tifoserie italiane a prescindere dalle maglie indossate, e fra questi nell’era moderna ce n’è stato soltanto uno davvero amato: Roberto Baggio. La chiave di Il Divin Codino, il film di Letizia Lamartire che abbiamo appena visto su Netflix, è proprio questa: Baggio è stato Pallone d’Oro, protagonista in tre Mondiali e tanto altro, ma è entrato nel cuore degli italiani più per le sconfitte, per la sofferenza e per la sua uscita di scena silenziosa che per i gol, gli assist e tutto ciò che ha fatto in vent’anni da professionista.

Una scelta che ci è piaciuta molto, visto che un racconto calcistico di Baggio avrebbe avuto bisogno di una serie in almeno dieci episodi e comunque non avrebbe reso l’essenza di un fuoriclasse detestato da quasi tutti i suoi allenatori, a prescindere dalle idee tattiche, e che spesso ha diviso i compagni, ma capace di essere trasversale rispetto ai tifosi e a chi non si interessa di calcio. Credibile sia per l’Italia di provincia di una volta (Baggio ha sette fratelli) sia per quella senza figli arrivata ai giorni nostri a colpi di highlights sul web, Baggio è stato l’ultimo fuoriclasse mondiale prima dell’era dei social network: la sua ultima partita con il Brescia è del 2004, a 37 anni, con Facebook nato da pochi mesi ed Instagram nemmeno immaginato.

Nel film, che ha avuto la consulenza dello stesso Baggio (in questo tipo di produzioni il coinvolgimento del protagonista sembra un male necessario, anche se limita) si insiste molto sulla famiglia, con la caccia mezzo per trovare un rapporto con il padre Florindo, un ottimo Andrea Pennacchi, una famiglia numerosa che nel futuro campione genera più il bisogno di essere amato che quello di vincere. I dialoghi fra Baggio, interpretato da Andrea Arcangeli, e il padre sono la cosa migliore del film e lo zampino di Baggio ne fa quasi un Open al contrario: ad Agassi il tennis viene imposto, mentre Baggio il calcio lo vuole e lo sogna senza alcuna pressione paterna, anzi.

Il Divin Codino è aderente alla realtà quando sottolinea che Baggio è stato soprattutto un giocatore dell’Italia, per questo riteniamo una lacuna il non aver dedicato nemmeno una scena al Mondiale del ’90, quello della nascita del Baggio internazionale (il gol alla Cecoslovacchia è maradoniano), o a quello del ’98, altra gloria sfiorata (quel palo sfiorato contro la Francia…). Certo il ‘Di qua o di là’ della carriera e forse della vita rimane il rigore di Pasadena, ma non c’è stato solo quello. Ben raccontato il rapporto con Sacchi, di culto il Mazzone con il volto di Martufello, fastidiose le parti con il procuratore Petrone, intelligente non avere messo nemmeno mezzo fotogramma con le maglie di Juventus, Milan e Inter, anche se la guerra di Firenze dopo la sua cessione da parte dei Pontello avrebbe meritato qualche battuta.

Molto spazio il film dà al buddismo e al percorso di Baggio iniziato proprio a Firenze, fra infortuni gravissimi e paura del futuro. Una fede, per quanto il buddismo sia soprattutto una filosofia di vita, che Baggio ha sempre vissuto con misura e che ha coinvolto anche la moglie Andreina, qui con il volto di Valentina Bellé, fidanzata fin dai tempi del Vicenza. Discutibile la scelta artistica di far parlare con l’accento veneto gli attori invece che in un italiano neutro, ma con il 90% dei film in romanesco non possiamo lamentarci più di tanto. In definitiva Il Divin Codino non poteva raccontare tutto Baggio e del resto finora nessuno ci è davvero riuscito. Però ne ha raccontato bene l’aspetto privato e il suo sentimento ambivalente di guerriero che ha perso tante battaglie ma ha forse vinto la guerra.

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