Calcio
Il biondo di Foden 2021 e Gascoigne 1996
di Roberto Gotta
Pubblicato il 2021-06-11
Phil Foden, il centrocampista-attaccante del Manchester City e della nazionale inglese, si è fatto biondo. Affari suoi, naturalmente, anche se sono in parte pure affari nostri perché, volenti o nolenti, quei capelli li dobbiamo vedere. Il platino in testa è pressoché identico a quello di Paul Gascoigne agli Europei del 1996, cioé quattro anni tondi prima che Foden venisse al mondo, ma il ragazzo ovviamente conosce Gazza, conosce l’impatto che ebbe in quell’edizione e ha accolto sorridendo il cambiamento di soprannome da ‘Stockport Iniesta’ a ‘Stockport Gazza’, insomma il Gascoigne di Stockport, la città adiacente a Manchester da cui viene e in cui, tra l’altro, c’è uno dei pochi stadi inglesi che vale la pena di vedere, perché quasi integralmente com’era 30 o 40 anni fa.
Gascoigne o Eminem che sia, Foden si sta preparando con i suoi compagni di squadra al debutto di domenica contro la Croazia, particolamente importante per gli inglesi perché la gara successiva sarà poi contro la Scozia e l’idea è quella di arrivare con tre punti per evitare che un risultato negativo nel confronto interbritannico riduca l’ultima, contro la Repubblica Ceca, a una specie di dramma. Quello che colpisce è che non si sa ancora come giocherà, l’Inghilterra. Come già scritto il mese scorso, il Ct Gareth Southgate preferisce affrontare ciascuna partita con un piano tattico diverso a seconda di molti elementi, compresa la probabile formazione avversaria, per cui non è ancora certo se vedremo un 3-4-3 o un 4-3-3, che preferisce.
Anche perché non si sa ancora come stiano realmente Harry Maguire e Jordan Henderson, fondamentali su due versanti: Maguire è un leader efficace, anche nell’uscita dalla difesa – nel Manchester United gioca sul centrosinistra anche se il suo piede è destro, perché come splendidamente notato dal sito The Athletic, nella falcata protegge meglio la palla con la spalla destra – e Henderson è il più affidabile dei centrocampisti difensivi, stante la spalla scricchiolante di Kalvin Phillips e la minore esperienza di Declan Rice. E pazienza se due anni fa, tondi tondi, una delle modifiche tattiche vincenti del Liverpool per la conquista della Champions League fu proprio la maggiore libertà offensiva concessa al capitano da Jürgen Klopp. Misteriosa anche la… numerazione della difesa, se cioè a tre o a quattro, ma son cose che si vedranno, mentre un aspetto meno enigmatico e più palese è quello dell’ambiente che attorno alla nazionale si sta costruendo da mesi.
È infatti tornato il tormentone ‘football is coming home’, il calcio torna a casa, declinato anche come ‘it’s coming home’ soprattutto a livello di social media, come già accaduto per i Mondiali 2018, quando si giocò sul sottinteso che a tornare a casa potesse essere direttamente la Coppa. Un coro originato per la prima volta nel 1996, quando gli Europei furono il primo grande evento in terra inglese dai Mondiali del 1966 ma soprattutto conclusero il percorso di riabilitazione dell’immagine del football agli occhi dell’opinione pubblica, iniziato forzatamente subito dopo la tragedia di Hillsborough del 1989, e innescato dalla partecipazione della nazionale a Italia ’90.
Erano gli anni in cui la Premier League, pur se già molto diversa rispetto alla vecchia First Division, era ancora un campionato nazionale e non globalizzato, con pochi stranieri in campo e pochi turisti in tribuna, e l’arrivo delle varie nazionali per Euro ’96 suscitava curiosità di tipo diverso rispetto ad oggi. Ma l’attenzione era in realtà rivolta proprio alla rinascita del calcio inglese come movimento, e il ritornello del brano ‘Three lions’ (nome reale di quello che molti identificano erroneamente come ‘Football’s coming home’ o appunto ‘It’s coming home’) divenne una specie di slogan, perpetuato poi nelle successive edizioni di Europei e Mondiali, per la fortuna – anche economica – di Ian Broudie, Frank Skinner e David Baddiel, gli autori.
Anzi, l’autore primario era Broudie, fondatore del gruppo Lightning Seeds ben inserito nel dilagante movimento Britpop, che aveva accettato la proposta della Football Association solo se fosse stata garantita la partecipazione di quelli che erano allora noti come Baddiel and Skinner, comici/cabarettisti di buon livello e conduttori del celeberrimo programma tv Fantasy Football League, nato per sfruttare la crescente popolarità del fantacalcio ma presto divenuto un eccellente, surreale omaggio al calcio e ai suoi risvolti, con ospiti importanti trattati con irriverenza e affetto al tempo stesso. Baddiel, 32 anni all’epoca di Euro ’96, tifoso del Chelsea, e Skinner, 39 anni, del West Brom, in quel periodo vivevano assieme, da scapoli, in un appartamentino, e il set ricostruiva proprio un ambiente casalingo, con un terzo personaggio, perennemente in pigiama e vestaglia, che dalla ‘cucina’ dava curiosità e statistiche e per questo veniva soprannominato ‘Statto’. ‘Three Lions’, grazie anche alla loro popolarità, divenne un successo immenso, numero uno delle classifiche di vendita nel Regno Unito, ottavo in Europa, addirittura nono in Scozia, dove in teoria la risonanza avrebbe dovuto essere limitata.
Quel che è curioso è che Euro ’96 non fu certo una grande edizione: partite non spettacolari (sei gol complessivi tra quarti di finale e semifinali…), stadi spesso non pieni e bel ricordo inglese che infatti verte soprattutto sull’ondata di patriottismo, sul rilancio della passione, sull’esaltazione seguita ad alcune partite (la vittoria sulla Scozia con il grande gol di Gascoigne, il 4-1 all’Olanda, il successo ai rigori sulla Spagna con l’esecuzione perfetta di Stuart Pearce, una sorta di riscatto dopo l’errore a Italia ’90) e smorzata poi dall’eliminazione nella semifinale contro la Germania, altra partita finita ai rigori, con l’errore decisivo dell’attuale Ct Southgate.
Nato dunque in modo genuino e candido come slogan, adottato per l’orecchiabilità persino da tifosi di altre nazioni e in ambiti non sportivi, ’it’s coming home’ nel corso del tempo ha attraversato momenti emotivi diversi, ed è stato anche controproducente, diventando quasi un’ostentazione sì fondata sui fatti – Lennart Johansson, presidente dell’UEFA, dopo l’assegnazione di Euro ’96 all’Inghilterra aveva parlato di ‘ritorno alla madrepatria del calcio’ – ma vista con crescente fastidio dai tifosi avversari, spesso esponenti di nazioni evolute dal punto di vista della cultura calcistica. Che, tradotta, vuol dire rispetto per il calcio a tutti i livelli, passione per la propria squadra locale e non per le solite 3-4 e riluttanza a sposare gli aspetti deteriori della passione stessa, come l’ossessione per calciomercato, la commercializzazione estrema e il rifiuto di sostenere qualsiasi altro sport.
Ecco perché dopo la semifinale di Russia 2018 vinta contro l’Inghilterra fu comprensibile il veleno verbale di Luka Modric e Vedran Corluka: il primo sottolineò la mancanza di rispetto a suo avviso mostrata dall’entourage inglese – entourage nel senso di media e tifosi, più che squadra e staff – con quel martellamento sull’It’s coming home, il secondo, succintamente, disse ‘it’s not coming home’ e non gli si poteva dare torto. Anche perché non si poteva chiedere loro, nemmeno a Modric nonostante la sua milizia inglese, di comprendere che la genesi della canzone era ironica, con la sua parte iniziale a ricordare la sfilza di insuccessi della nazionale dopo quell’isolato trionfo del 1966: del resto, proprio a Euro ’96 c’era stata, per la semifinale Inghilterra-Germania, quella fantastica ma rischiosa campagna mediatica zeppa di stereotipi sui tedeschi di cui avete letto qui qualche settimana fa. Roba del secolo scorso, letteralmente, anche perché oggi come oggi è già tanto se in una nazione sempre più prigioniera del politicamente corretto e pallida imitazione della propria forza e del proprio orgoglio di un tempo è ancora concesso tifare per i Tre Leoni. Anzi, per leone, leonessa e cucciolo, come da nuovo logo della Football Association, per il momento non ancora imposti anche alla maglia. Per il momento.