Atletica
Giochi senza barriere
Oscar Eleni 30/08/2021
Oscar Eleni fra i simpatici gnu striati nella riserva keniana dei Masai, libero di imprecare sulle rive davanti aò fiume Mara e la pianura del Serengey per cercare purezza, capire, fingendo di non sentire Toro Seduto quando ci spiega che se sei aquila non hai bisogno di essere corvo. Ammonimento per noi, i soldati confusi , i falsi profeti, i virologi, i politici, le destre troppo mescolate alle sinistre, i cattolici che non porgono mai l’altra guancia e aiutano soltanto loro stessi, la gente senza lavoro, i destabilizzati da fabbriche portate altrove.
Kenya amore di un’atletica che lo ha depredato e quasi perduto dopo averne succhiato la linfa preziosa. Succede, nelle colonizzazioni anche sportive, come ci ha ricordato il quasi ingegnere milanese Nemo Barlaam, dopo l’immensa Bebe Vio, uno dei grandi protagonisti italiani alle Paralimpiadi di Tokio, spiegando bene l’ipocrisia di chi mette soltanto barriere, raccontando che la sua vera libertà è soltanto nell’acqua.
In questo confuso passaggio fra feste selvagge, barbarie, il settembre che riapre quasi tutto terrorizzando tutti, cominciando dalle scuole, abbiamo già visto che si finirà a legnate. Riportano i tifosi sulle tribune ed ecco lo sconcio di Nizza-Marsiglia, il pestaggio a Verona di padre e figlio interisti. Riaprono i cinema, ma si litiga per la mascherina, guai se dici ad un no vax che se lui si sente libero nel negarne l’utilità allora i vaccinati hanno il diritto di chiedergli di stare almeno lontano.
Siamo confusi perché il dramma della pandemia sembra niente in confronto a quello di chi si lamenta a prescindere. Un po’ come i tifosi del folber che, dopo due partite, hanno già acceso i roghi, aspettando sempre il messia da un mercato che non chiude mai contrariamente al mio in piazza Wagner. Per fortuna molti hanno fatto la vaccinazione contro l’ignoranza emotiva di chi vuole tutto e subito, di chi non riconosce mai la superiorità dell’avversario, del piccolo esercito che ancora crede ai proprietari mecenati, anche senza capirne la lingua.
Fra ippopotami e ghepardi dei Masai abbiamo riconosciuto tanta gente che va in giro parlando di sport spettacolo da vendere, magari mortificando le regole sacre di uno sport. Prendiamo l’atletica che avevamo lasciato estasiati alle Olimpiadi giapponesi. Tempi di recupero, fra fusi orari, fatiche vere sul campo, ed ecco l’imprenditore pronto ad organizzare lo spettacolo fra i diamanti. Arruolando tanti fenomeni, ma dimenticando che non sono macchine che puoi far muovere meglio con gettoni dorati. Gare belle, campioni riconoscibili, ma nei limiti.
Certo che la gara di salto con l’asta a Parigi è stata meravigliosa per come è stata interpretata, che si fotta il record, così come quel 100 metri delle donne giamaicane a Losanna dove la grande Fraser, senza batterie e semifinali, è riuscita a sorprendere la più vicina a Florence Griffith. No, con l’atletica, non fate i furbi voi che organizzate, che cambiate le regole nei salti e nei lanci con la scusa dello spettacolo all’ultimo tentativo, è una disciplina meravigliosa, ma con una crudeltà che sfugge ai lamentosi, a quelli che vorrebbero guadagnare anche nella pestilenza come chi smercia medicine: non puoi fingere impegno, chi giudica non è il manager, la famiglia, gli amici i parenti, gli allenatori, ma metro e cronometro.
Chiedetelo ai leoni che ora esaltano le Paralimpiadi a Tokyo. Confrontate il dramma della Vio, aspettando Tokiy, una bandiera, ma rischiando un’altra amputazione, con tutto il resto che ora muove il cielo e le stelle nello sport italiano dove una bella trasmissione come la Domenica Sportiva fa sapere che per gli sport diversi dal calcio si dovrà aspettare la notte, pazienza se il giorno dopo dovrete andare a lavorare. Che se ne faranno di tutti quei canali alla Rai se poi in quasi tutti, come del resto sulle private, si parla sempre e soltanto del mal di pancia di chi poi se ne va e ti fa prendere in giro dalla sorella, fingendo forse di non sapere ancora che grazie si scrive con una sola zeta? Ci ha fatto piacere ritrovare in televisione Tony Damascelli, fantastico compagno di viaggio e di lavoro per tanti anni, perché era ora di sentire qualcuno capace di attaccare un allenatore che sbaglia, un giocatore che non convince, ma anche dirigenti che pensano di farla sempre franca cacciando gli altri.
Il calcio nel sedere come metafora della vita anche al di fuori del campo o della pista. Ad esempio nei falò delle vanità di questo basket che pensa di essere meglio anche del calcio, figurarsi della pallavolo sbeffeggiata perché da favorita ha lasciato Tokyo proprio come i bellissimi di Sacchetti, sono giorni per farsi dispetti anche a bocce quasi ferme. Rintanati nel sottoscala delle pagine sportive eccoli i feroci saladini, o salatini, della pallacanestro che, davanti al presidente di Lega disperato per le quote di pubblico ammesse nei palazzi, invece di unirsi, come chiede il Gandini hockeysta che sa caricare alla balaustra, si mette subito a litigare.
Chi lo fa? Evidentemente chi ha più visibilità mediatica, quindi perché stupirsi se il Baraldi virtussino si trova contro il Messina armageddoniano. Il primo dice di essere dalla parte del pubblico, il secondo invita alla prudenza. Forse hanno ragione tutti e due. Ma andateglielo a spiegare alla strega pandemica e, per favore, non fate come i lamentosi a prescindere che si domandano perché la mascherina al cinema e non al ristorante. Siamo messi così. Altro che solidarietà. Allora avanti la banda degli sciacalli truffatori che va in giro e ti urla “Ehi, non ti ricordi di me, mi chiamo Giuseppe, Giuda, devo farti una proposta, aiutami… “. Inutile chiedere aiuto. Sono tutti nascosti e caso mai, se sono in giro a dare multe, si giustificano che è colpa del sindaco. Io sono io e voi? Sapete la risposta.
Mettiamoci la maschera ancora una volta per difenderci da chi preferisce essere corvo e non aquila, aspettando che oltre al calcio si muova tutto il resto, infelici per non poter andare da Giordani a Rovereto nel meeting più antico d’Italia, spaventati dalle facce di chi, aspettando record, ti fa sapere di essere deluso, molto deluso. Ma andate a prendere rane. Settembre, andiamo è ora di tifare anche per il tuo sport. Il basket, ad esempio. Pochi giorni e ci sarà la supercoppa multiuso. Tutte arruolate le squadre di serie A, anche se per vedere le quattro che avevano diritto a partecipare bisognerà aspettare il 18 settembre sulla porta della Unipol Arena di Casalecchio. Pesaro, Brindisi, Milano, Virtus Bologna entreranno in gioco dai quarti, sognano prima le semifinali del lunedì e poi la finalissima del giorno dopo. Feste feriali per non disturbare? Forse.
Giudizi sulle nuove squadre ? Nessuno. Tutti, o quasi, esiste anche gente onesta, come sempre, sono convinti di aver fatto scelte azzeccate. Pensate a Milano e Virtus. L’anno scorso fino ai 10 giorni delle finali scudetto sembrava che Messina fosse Merlino e Djordjevic la rana del pantano. Alla fine tutto il contrario. Capita. Come capita che il più criticato alla fine possa andare avanti giustamente col suo lavoro mentre l’altro ha dovuto fare le valigie per andarsene a cercare gloria meritata altrove, ma siamo sicuri che Gherardini farà trovare a Sasha il tappeto più bello di Istanbul a casa Fenerbahce.
Si gioca spesso a porte chiuse, ci si allena, si lanciano messaggi, anatemi, mentre Dan Peterson, l’uomo che ha sempre saputo guardare oltre, anche un meno 31 da rimontare ai diavoli di Salonicco, raccontato così bene dal Viberti in un messaggio video, ci ricorda che esiste ancora gente capace di scrivere bene sul basket e la sua storia, pazienza se il metodo porta al prepensionamento chi meriterebbe di essere letto e ascoltato. Lui ci consiglia il libro sulla Virtus del Fuochi, ma, purtroppo lo distribuiscono soltanto a Bologna. Speriamo che allarghino l’offerta. Poi ci invita a leggere su Repubblica Milano il Chiabotti che rivisita la storia Olimpia e la maledizione per i campioni della città costretti a diventare famosi lontano da casa. Per adesso ci accontentiamo. Poi, come tanti, scopriremo che non è tutto oro quello che luccica, felici di poter scoprire facce nuove, di avere storie belle da raccontare.