Froome il fondamentalista

22 Luglio 2013 di Simone Basso

Il ranocchio vivaddio è diventato principe. A vederlo in giallo, Chris Froome, in una sera di Luglio con i Campi Elisi illuminati a festa, abbiamo ripensato alla prima volta che l’incrociammo.Era l’altroieri, il 2007, al glorioso Giro delle Regioni, e lo guardammo manco fosse un alieno: vinse la Chianciano Terme-Montepulciano andandosene via ai due chilometri dal traguardo, scalciando la bici con una forza spaventosa. Fu un momento esotico, la vernice storica di un africano, difatti il nostro correva nella rappresentativa Uci della Solidarietà Olimpica (sic), ovvero la scuola mondiale del ciclismo ad Aigle. Un’avventura per squattrinati o quasi… Amarcord, tecnicamente – in mezzo al gruppo – era un disastro: cadde quattro volte, nella terza ben due, allorchè perse un minuto e venti. E in classifica finale giunse a soli 1’25” dal vincitore Rui Costa, l’ennesimo déjà vu della Fete de juillet 2013.

Oggi quel Froome è la proiezione al quadrato di quell’atleta, molto più forte e consapevole del motore – fenomenale – che la natura gli ha prestato. Ancora troppo sgobbone nella tattica di gara. Bizzarro quanto sia bipolare quando è su una bici: a cronometro è disteso, quasi bello, sul telaio; armonioso e potente. In salita invece frulla il rapporto vorticosamente, magari a cento pedalate al minuto, a frequenze oltraggiose che lo rendono un nipotino inconsapevole di Arthur Zimmerman.

Al solito, un’abitudine estiva al pari della granita e dell’ombrellone, sono partiti gli accostamenti scomodi e gli stereotipi. Troviamo incredibile che una stirpe di gourmet calcistici da strapazzo, prestati al Tour, si siano convinti dell’infallibilità empirica della VAM; non avendo una nozione scientifica di medicina sportiva, e nemmeno di cultura sul ciclismo e lo sport in generale. Chissà cosa scriverebbero se in questi anni comparissero, sulla strada, Fausto Coppi e Abebe Bikila.

I Froome abitavano a Nyong, vicino Nairobi, quando lo concepirono: Christopher, i primi quattordici anni, li trascorse scorazzando per la Great Rift Valley. Il babbo accompagnava i turisti nei safari e lui, una pila di energia, organizzava scorribande in mountain bike. Talvolta capitavano cose che accadono solo là: l’incontro con i babbuini, la fuga da un ippopotamo arrabbiato e la cattura di serpenti che venivano portati a casa (vivi) per la disperazione della madre…

Johannesburg, il trasferimento in Sudafrica, rappresentarono un trauma per il keniano bianco: scoprì, malgrado l’esclusivo Saint John College, le tensioni e l’odio razziale di quel luogo contraddittorio. Lo mise in sella, con un numero sulla schiena, David Kinjah: oggi il suo mentore parla di una rivoluzione per i ragazzi del Continente Nero. Intanto domenica sera, proprio a Nairobi, c’è stata una parata celebrativa in onore dell’eroe in maglia gialla. Il Chris europeo aveva già fatto del ciclismo la sua ragione di vita, ma l’Africa ahilui gli rimase dentro: pescando, nel 2008, contrasse la bilharziosi. Un parassita che si trasmette nell’acqua e attacca i globuli rossi; spossante, che abbassa il sistema immunitario e lo costringe a un controllo ogni tre mesi.

Ha vissuto in Italia i primi anni da professionista, a Chiari, Nesso, Quarrata. Fu pure il primo posto dove vide scendere la neve… Nel 2011, al Team Sky, la svolta. Bobby Julich comprese il potenziale del mostriciattolo quasi per caso, dopo una serie di test atletici del nostro, che pensò sbagliati per i dati fisici straordinari rilevati. Rod Ellingworth, il tecnico incaricato, rispose che non c’erano errori: Froome era solo (..) l’atleta più dotato che avesse mai analizzato. Uno scherzo della natura, che scortò – mordendo i freni – Bradley Wiggins al Tour 2012, lo stesso capitano che gli costò la Vuelta dell’anno prima.

Apolide, straniero in terra straniera anche in Gran Bretagna, vive l’isolamento emotivo tipico di chi non appartiene direttamente a nessuno. Il keniano bianco, adesso in cima al mondo, sa di avere ancora qualche anno per dominare le grandi corse a tappe. Almeno fino a quando reggerà, con la testa, la dieta spartana e la preparazione durissima che si autoinfligge: in fondo Alberto Volpi, suo diesse alla Barloworld, lo definì “un fondamentalista dell’allenamento”. Il T.J. Newton degli sfregaselle, allampanato e misterioso quanto il personaggio di Walter Tevis, ha appena fatto conoscenza con il rivale del futuro prossimo, un altro freak del Mondo Nuovo, l’indio Nairo Quintana. Il terzo incomodo, Vincenzo Nibali, il meglio della vecchia scuola, l’ha già incrociato diverse volte.

Siamo però certi che un bel dì, quando avrà terminato la carriera – il mestiere – del ciclista, se ne tornerà in Kenya con l’amata Michelle, informatica con la passione della fotografia. Perchè quando hai il cielo della Rift Valley nel cuore, persino quello delle Alpi – al suo confronto – sembra banale.

(per gentile concessione dell’autore, fonte: il Giornale del Popolo del 22 Luglio 2013)

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