Deep Purple, media azienda bene avviata

23 Luglio 2013 di Stefano Olivari

I Deep Purple non deludono mai, al punto che qualche loro collega al veleno potrebbe considerarli come Giorgio Bocca considerava Enzo Biagi: ‘Una media azienda bene avviata’. Domenica sera all’Ippodromo di Milano, posto dove abbiamo lasciato tanti soldi (con in più la vergogna, fuori tempo massimo, di avere contribuito al maltrattamento dei cavalli), il gruppo inglese non si è smentito: un giusto mix di vecchio e nuovo, con l’irrinunciabile Smoke on the water (in una recente intervista Jerry Calà l’ha confessato: “Se non canto Maracaibo non mi fanno uscire dal locale”), le canzoni dei periodi di transizione, fra cui la bellissima, come è straordinario l’album a cui dà il nome e che di fatto portò alla reunion dopo 7 anni, Perfect Strangers, e altre a cui fanno capo varie sottocorrenti del mondo dei fan. Non ovviamente l’immortale Child in time, impossibile anche per un grande come Ian Gillan da cantare a quasi 70 anni. Quegli acuti  vanno storicizzati, come storicizzati sono da vari decenni i Deep Purple. Volendo parlare dei massimi sistemi, proprio questo è il vero tumore del rock: quello di essere storicizzato e di dover aderire a un canone. Co-ispiratori dell’hard rock e delle sue degenerazioni insieme ai Led Zeppelin, ma molto più versatili e ‘musicisti’ rispetto agli Zeppelin (infatti ai tempi del Mark II ci furono anni fra la classica e il progressive), i Deep Purple dopo il periodo della rottura (dal 1977 al 1983) hanno serenamente accettato di fare i Deep Purple, sopravvivendo al polemico addio del chitarrista (Ritchie Blackmore, sostituito prima da Joe Satriani poi da Steve Morse) e alla morte di Jon Lord che dei Deep Purple rappresentava a nostro immodesto avviso l’anima autentica insieme alla voce originale di Gillan. Una cosa divertente è che in almeno una decina di recenti articoli, pubblicati dagli agonizzanti giornali italiani, abbiamo letto la stessa frase che pone Deep Purple e Led Zeppelin sullo stesso piano dei Black Sabbath. Un giudizio discutibile, con tutto il rispetto per i pur bravi (direbbe Pizzul) Black Sabbath. Ma soprattutto uguale, parola per parola, a quello della voce Deep Purple su Wikipedia… Come canta Fabri Fibra in Vip in trip, ‘Federico, mi guardi su Wikipedia se sotto la voce rapper superfighissimo c’è la mia faccia?’. Ma torniamo al concerto e ai suoi assoli, a partire da quello di batteria obbligatorio di Ian Paice… segno che il gruppo, con i suoi vari mark, non ha mai avuto il fenomeno-istrione che annulla gli altri ed è forse questo uno dei suoi segreti: visto che hanno scritto canzoni decenti anche in tempi moderni fino all’ultimissimo Now What?!, cosa che non si può dire degli Zeppelin, per non dire dei Rolling Stones e di altre icone giustamente (sono sui 70) imbolsite ma che sfruttano bene i tempi: i dischi non si vendono più, quindi inutile affannarsi nel creare canzoni nuove, i soldi si fanno con i concerti. Gli assoli, fra cui uno memorabile alle tastiere di Don Airey (ci ha buttato dentro anche Per Elisa di Beethoven), hanno avuto anche la motivazione concreta di far rifiatare Gillan, al punto che fra le varie Hard Lovin’  Man e Black Night ci aspettavamo Woman from Tokyo. Che non è arrivata, pazienza: noi, gli altri cinquemila paganti e le zanzare abbiamo apprezzato lo stesso senza bisogno di identificazione generazionale. Anche perché tutte le generazioni erano rappresentate: i sessantenni con struttura da harleysti che li hanno seguiti dalla prima ora, chi li ha conosciuti già mostri sacri come noi e i ragazzi che sono partiti dall’heavy metal per andare poi a caccia delle origini. Conclusione? Pur avendo creato una parte significativa della storia del rock, oltre che un repertorio che consentirebbe lunghezze da concerto spingsteeniano, ai Deep Purple è sempre mancata quella vena di follia che fa la differenza fra l’apprezzamento per la loro musica e la pelle d’oca (che ci viene, per fare un esempio coerente con il genere, con gli AC/DC… o con Massimo Ranieri, per farne uno lontanissimo). Troppo rispettosi nei confronti del loro pubblico per osare troppe contaminazioni, nelle loro varie fomazioni i Deep Purple sono però sempre stati all’altezza della situazione. Non ci hanno tradito, di questi tempi è già molto.

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