Uomini con lo zainetto

8 Settembre 2020 di Stefano Olivari

Meglio lo zainetto o il borsello? Meglio la morte, sarebbe la risposta corretta. Comunque senza un vero perché siamo ancora vivi e dobbiamo trovare un posto in cui infilare chiavi di casa, chiavi dell’auto, smartphone, agenda cartacea, bloc notes, iPad, caricabatteria, libro, ombrellino pieghevole. Come noi milioni, forse miliardi, di altri esseri di sesso maschile ma che definire uomini è una convenzione per l’anagrafe.

Riflessione fatta ieri sera in metropolitana, dove sembravamo fatti con lo stampino (ci distinguevamo con il libro, per citare alla cazzo Kundera), in particolare per quanto riguarda lo zainetto. Chi lo aveva grande abbastanza per un computer portatile, chi al livello di una borsetta da donna (come il nostro, merchandising olimpico acquistato a Londra la sera del record di Rudisha e dei 200 di Bolt), tutti avevamo comunque qualcosa di diverso dalla ventiquattrore dei nostri padri (anche di quelli che non lavoravano nel settore assicurativo) e dal tremendo borsello dei vecchi zii, che ebbe un momento di gloria negli anni Settanta prima di sedimentarsi soprattutto nell’Italia profonda, quella che fuma le Merit.

Nemmeno prendiamo in considerazione chi ha quelle borsette a tracolla diagonali e pseudosportive, spesso indossate diagonali tipo bandoliera, per non dire del marsupio: al di sotto dell’uomo con il marsupio c’è soltanto quello di Neanderthal. Abbiamo una discreta opinione delle borse in pelle, o meglio ancora similpelle, da praticante avvocato o commercialista, però non svolgiamo queste professioni. Non sfuggiamo al profilo psicologico dell’uomo con lo zainetto: uno che per varie ragioni si percepisce come figlio, più che come padre, anche se ha passato la cinquantina e magari ha figli.

In definitiva cosa volevamo dire? Questo: che il primo stilista o designer che inventerà una borsa da uomo decente, leggera e multiuso, diventerà miliardario a livelli inimmaginabili, altro che unicorni.

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