Nelle braccia di Pascolo

13 Luglio 2014 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla valle trentina dei mocheni, fra i giocatori di morra nella sagra di Sant’Orsola, sentendo il profumo dei frutti di bosco e delle Lucaniche di Fontanari che sanno di Teroldego, ma anche di cipolla, un delirio che ci impedisce  di passare il tempo a domandarsi perché i campioni di Milano hanno questa smania di cambiare ancora così tanto e vanno addirittura a cercare uno come Kleiza che ad Istanbul non ha davvero entusiasmato Obradovic e i dirgenti del Fenerbahce, come sanno quelli stanchi d’inseguire l’uomo di Kaunas.

Fuga rigenerativa scalando con il badante la cima Cagnon per dimenticarsi di tutto quello che ronza intorno ad Azzurra Tenera. Prosopopea, una torre con lo stesso avorio che un tempo rendeva insopportabile la dittatura del Giancarlo Primo che illuminò la scena del basket nazionale, ma alla fine si era convinto che il bene fosse tutto generato dal generone che lo sosteneva. Speriamo non accada questo anche nel regno di Simone Pianigiani impegnato a dare una verniciatina alle prestazioni nel semideserto del Pala Trento dei reduci dal  “duro lavoro” di Folgaria contro squadre come Germania, molto talento fisico, zero regia, difficile da valutare e pilotare, Olanda altro gruppo con gente di qualità atletica, ma metterli insieme sembra angoscioso, Belgio volontà e poco altro. Tre su tre come da tre anni in questo torneo.

Siamo andati a vedere la conca di Trento, non certo simil Azzurra, squadra dalla voracità notturna se a certe ore trovavi gente che sbriciolava piatti gustosi. Siamo andati per capire, respirare l’aria della nuova entrata in serie A, l’Aquila Trento, forse una delle cose più importanti della stagione in questo basket che piange miseria, elegge un presidente di Lega fra i presidenti di società, garantendogli un buon rientro d’immagine e non soltanto quella se resterà in vigore, come si dice, lo stipendione che prendeva il predecessore.

Eravamo convinti che il volo della squadra di Luigi Longhi meritasse davvero l’entusiastico interesse dei media e della stessa federazione. L’Italia, ospite del Trentino che rapì, pagando molto, Azzurra alla passione del Pini e di Bormio, ha portato nella Trentino Cup quello che poteva, lasciando, giustamente riposare i neoscudettati Armani, senza dare spunti per eletrizzare una città studentesca, ovviamente svuotata in luglio, una città che, magari, fa 700 abbonamenti  all’apertura della campagna per l’Aquila, che si agita per una pallavolo che vuole tornare padrona in Italia e in Europa, ma non può eccitarsi se vede tanta mediocrità e provvisorietà in giro. Insomma tribune quasi vuote, una volta i bambini famelici dell’Armani camp di Predazzo (infierivano sui ragazzini trentini ricevendo applausi dai loro allenatori che forse li vogliono educare proprio così), un’altra i profughi africani ospiti della comunità, ma poca roba. Colpa mia, colpa tua.

Il presidente Petrucci  ormai affezionato seguace delle squadre femminili, era a Udine per le under, così come aveva scelto la Sicilia nei giorni delle finali scudetto, non avvistato fra i laghi trentini che pure sono bellissimi, ma lui vi dirà che lo ha fatto apposta perché essendoci la RAI, il merito delle dirette se lo dividono in tanti, non voleva fare il presidente prezzemolo che si presenta ogni volta appena vede la lucetta rossa delle telecamere. Va bene. A quelli di Trento serviva una finta partecipazione del Belinelli neocampione NBA che, come sapete, è già raccontato in un libro dalla solerte Gazza che avendo perso il confronto con il Corriere della Sera per la celebrazione del successo armanizzante, un sole caldo fra i ghiacci, un sole che sembra sempre stuzzicare appetiti nuovi se della squadra scudetto rivedremo soltanto la metà dei giocatori, aveva puntato con il Beli che al bagno di folla milanese non si era negato e, magari, giustamente, stuzzicato, avrebbe potuto far vendere ancora in Trentino, movimentando una scena da torneo dei Barnabiti. Ma su questo argomento delle vendite di libri siamo nei grandi misteri. Il bellissimo Scarpette Rosse del Pedrazzi, con le rose zeffirine delle prefazioni, rose senza spine, lo hanno visto soltanto a Milano e dintorni. Era un libro  legato al Corrierone, perché limitarlo al territorio dei vincitori? Eppure lo cercavano in tanti. Giuriamo per trenta copie richieste  a Firenze, Livorno, Pesaro, cinquanta a Bologna e via così. Presenza negata come avveniva (per colpa dell’editore?), quando uscì la prima stesura per i tipi di Limina. Comunque sia noi avevamo scelto Trento con l’illusione che questo ingresso del Trentino, per la prima volta, nella serie A, potesse dare spunti a  tanti. Niente. Quasi tutti respinti con perdite. Ora la Gazza degli orgasmi ha mandato l’inviato per la prima partita, poi pancotto da casa.

C’erano storie da raccontare, ce ne saranno anche più avanti, ma per animare la scena si poteva anche fare un sacrificio. Vero che lo stritolamento mondocalcio, Tour, LeBron James che torna a Cleveland e Pau Gasol che scappa a Chicago, non lasciavano tanto spazio. Serviva l’aiutino, la spinta forte. Una volta, nel regno di  Nebiolo, quel genio di Augusto Frasca riusciva a far diventare importante qualsiasi avvenimento. Figurarsi una Nazionale trasmessa per tre serate in diretta da vulcano Fanelli e dal genio Michelini che deve schivare di tutto per stare su questa nave, ma lui ha già combattuto cento battaglie nel basket ragliante, restando troppe volte solo e, quel che è peggio, persino inascoltato, ma è chiaro se rietieni che riscaldarsi con dieci palloni invece che con uno soltanto fa diventare polli di batteria tutti questi bambinetti che poi anche salendo di categoria restano tali, legati al possesso del balun.

Non c’è stata la scintilla eppure la storia intriga vi direbbe Stefano Soci che guida il CAST, il consorzio per il grande volo. Colpa del loro senso della misura? Forse. L’allenatore neo promosso Maurizio Buscaglia in partenza per l’America ha salutato e si è quasi mimetizzato. Imparerà dai colleghi più golosi? Speriamo di no. Certo se fosse dipeso da Stefano Trainotti, dalla squadra che il fratello Salvatore, direttore generale delle Aquile, gli  fa guidare per aiutare e stimolare l’interesse mediatico, avremmo avuto il tutto usaurito. Erano loro i primi a dispiacersi, ma impareranno che questo mondo da esplorare nel pianeta del rosso quasi fisso, finge soltanto di darti una mano. Si va per conto proprio, ogni tanto una genuflessione al padrone del momento, poi via a cercare scuse banali e giocatori poveri di energie, di tecnica, ma, soprattutto di motivazioni. Se ci fate caso tutti parlano di progetti. Avete notato un movimento nella palude ? Stranieri, formule, bilanci, tutto al coperto.

Trento ci ha stregato per due giocatori che hanno qualcosa di speciale,  rappresentando un futuro diverso. Il  geniale Della Valle che non pompa, non  fa buchi sul legno e, appena può, sa far cambiare ritmo. Gli hanno dato spazio, ma lo hanno anche confuso e infatti da gara uno a gara tre è andato sempre regredendo. Colpa sua? Ah saperlo. Poi c’è il fachiro Burma, quel Davide Pascolo, figlio del dio serpente, un falso nueve, o falso animalo da area, uno che tocca tutto con quelle braccia smisurate, uno speciale che avrebbe meritato tanto spazio oltre all’intervista in televisione, visto che è la punta delle Aquile con cui ha firmato per altri due anni, facendo sapere a chi palleggia i cuori e i sentimenti dei ragazzi amministrati, che per lasciare la culla trentina ci voleva molto di più di un ingaggio lussuoso. Servivano garanzie di trovare la stessa “famiglia” altrove. C’è ancora chi crede a queste cose, anche se ci inquieta sapere che il suo film preferito e V come Vendetta o il Potter del Principe Mezzosangue, ma ci ha colpito la frase pubblicata sul bellissimo Yearbook dell’ultima stagione: “Il basket per me significa ancora quel divertimento che provavo da bambino nel tirare a canestro, inseguire una palla. Quel divertimento c’è anche oggi”. Speriamo sia così anche quando conoscerà meglio i compagni di Azzzura che hanno il filo diretto con agenti, presidenti e roba del genere. Comunque sia Trento ha riconfermato i 4 italiani, se li tiene stretti. Insomma c’erano personaggi ed argomenti per rendere omaggio a  questa società che entra nella A in quasi stato di grazia e forse di purezza. Niente. Noi per primi, sia chiaro, ma non ci siamo comunque negati la zingarata anche se nessuno ci ha dato spazio dove collaboriamo da tempo. I giornali sportivi, però, qualcosa in più, come misure, potevano averlo, darlo.

Ce la siamo goduta comunque, anche sbagliando mille strade perché soltanto il viaggio a Sant’Orosola, sopra Pergine, valeva la pena, perché gli strangolapreti del Barba in piazza PiediCastello, un pesarese che ama l’arte come il suo concittadino Elio Giuliani che dovrà andarlo a visitare, prima o poi, magari per il campionato, uno che sa riconoscere il genio e la vita, anche se il vero motore è la compagna trentina, hanno soddisfatto ogni senso di solitudine anche dovendo accettare la visione labronico fiorentina del professor Carlà sulla forza e il potere di certi allenatori.

Trento per capire cosa passa sulle rotaie di basket italia se tanti nostri ragazzi in azzurro sono ancora senza contratto. Ora se ne sentono di tutti i colori. Richiesta di contratti triennali anche avendo passato i tren’anni, garanzie per un posto in quintetto. Non ci credete? Fate un giro di telefonate. Desideri di masse gassose da esplorare all’estero come se tutti fossero convinti di avere nelle mani armi micidiali, quelle che ti fanno offrire la luna. Non è così. Guardarsi allo specchio per capire che certe eccellenze possono andare bene in casa tua, dove ti conoscono bene, ma se cerchi ingaggi diversi devi essere almeno pronto a sfidare gente che quel pane lo vuole come te.

Aspettiamo che si muova il  mercato e qualcuno ci convinca che Roma e Bologna non stanno scherzando con il solito fuoco delle scelte all’ultimo momento, che tutti quelli che sono adesso in serie A hanno mezzi e progetti, che una Lega illuminata pensi in grande nei ripescaggi.

Nella zingarata ci hanno fermato almeno in cento per una domanda fissa: Pozzecco ce la farà a Varese? Perché no? Era idolo, ha il genio per coinvolgere tutti. Certo anche lui, come l’Inzaghi rossonero, sa bene, che perdere due o tre volte di troppo di fa passare, immediatamente, in una categoria diversa dall’idolo da amare sempre e comunque.

Sta tornando dalla Cina Artiglio Caja con la sua sperimentale dove Cantù, appena abbandonata da Aradori e Cusin, potrà davvero godersi la nuova dimensione di Awudu Abass il ragazzo che ogni giorno si fa in bicicletta tanti chilometri per andare ad allenarsi al Pianella. Speriamo non incontri i “so tutto” pronti a garantire autista e tanti soldi.

Oscar Eleni, da Trento

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