Miracolo anche a Essen

21 Giugno 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari

La grande Ungheria di Puskas e Hidegkuti, la Germania che cerca di risollevarsi dopo la guerra, la più grossa sorpresa della storia del calcio. Ingredienti ottimi che hanno prodotto un film riuscito a metà, il Miracolo di Berna (Das Wunder von Bern) rivisto qualche giorno fa dopo i suoi due-giorni-due nelle sale italiane. Lungometraggio, per dirla alla svizzera, con la regia di Sonke Wortmann ed attori a noi sconosciuti che in patria ha avuto però un successo strepitoso sia al cinema (nel 2003) che in tivù. Siamo ovviamente nel 1954 ed il protagonista è l’undicenne Matthias, figlio di un reduce di guerra appena tornato dalla Siberia dopo anni di prigionia e di morte presunta. L’ambizione sarebbe quella di descrivere i sentimenti di quell’epoca in Germania attraverso la vita di una famiglia di Essen. La madre che manda avanti faticosamente un bar insieme alla figlia (che esce con un americano, quindi per parte della Germania ancora un nemico), il figlio maggiore che mitizza la Germania Est e non capisce quel padre che pur non essendo nazista ha fatto il suo dovere di ‘bravo tedesco’ prima in miniera e poi al fronte, Matthias che quel padre non l’aveva mai visto e che lo giudica un uomo senza sogni, che non a caso detesta il suo amato calcio ed il suo amato campione: Helmut Rahn, del quale il ragazzo è portaborse e portafortuna. Il ‘Capo’, questo il soprannome dell’attaccante del Rot Weiss autore del gol della vittoria in finale, è per Matthias più di un’immaginetta da tenere sul comodino: il Bignami di psicologia direbbe è una figura paterna ma non giudicante. La parte davvero emozionante del film è questa, poi purtroppo c’è quella calcistica. Buona l’idea di non mostrare immagini di gioco se non qualcuna della finale sotto la pioggia, agghiaccianti le caratterizzazioni dei personaggi legati alla manifestazione: il giornalista macchietta con moglie al seguito (comportamento simile a quelli di alcuni grandi inviati nostrani, anche in un Mondiale), le frasi storiche di Herberger buttate lì a caso, Puskas rappresentato fisicamente come il Puskas di dieci anni dopo (addirittura si vede un suo fallo su Liebrich, un po’ come fare un film su Moro e farlo sparare a Prospero Gallinari), Adi Dassler venditore porta a porta di tacchetti intercambiabili quando l’antenata dell’Adidas esisteva già da quasi trent’anni, eccetera. Toccante il viaggio del padre e di Matthias verso Berna, con il calcio canale di comunicazione utile a dire molto altro: senza bisogno di guerre, ci siamo passati quasi tutti. In definitiva comprendiamo i grandi incassi in Germania, visto che quella partita ha segnato più di una generazione per motivi non certo calcistici e la materia è trattata bene (con il mitico ‘non detto’), ma anche quelli scarsi all’estero.
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