L’idea meravigliosa di John Heisman

6 Marzo 2007 di Roberto Gotta

1. E’ iniziato il periodo di ‘mercato’ nella NFL. I free agent, ovvero giocatori in scadenza di contratto, possono muoversi, mentre ogni squadra ha la possibilità di designare ogni anno un proprio ‘franchise player’: ovvero un free agent che in tal modo può discutere un nuovo contratto unicamente con il proprio team, il quale deve corrispondergli uno stipendio (ci permetterete di tradurre propriamente ‘salary’ e dunque non come ‘salario’, che da noi si usava in genere per mestieri molto umili) pari alla media dei cinque stipendi più alti dell’anno precedente per giocatori del suo stesso ruolo, oppure pari al 120% del suo stipendio dell’anno precedente, e vale la somma più alta tra le due. Impossibile qui star dietro a tutto quel che accade, del resto facilmente verificabile in qualsiasi sito di informazioni, ma segnaliamo una doppia circostanza che riguarda i Chicago Bears, che in Italia hanno (giustamente) molti tifosi e sono reduci da un Super Bowl, seppur perso: è pressoché certo, al momento in cui scriviamo, che Thomas Jones (foto), metà della coppia di running back che aveva portato i Bears così avanti (l’altro era Cedric Benson), verrà ceduto ai New York Jets in cambio di una scelta, la 37, dunque all’inizio del secondo giro del draft. Jones aveva chiesto di essere ceduto per dissapori con Benson e per trovare più spazio, e andrà ora in una squadra che aveva bisogno esattamente di uno come lui ed era evidentemente poco convinta di poterlo trovare alle posizione di scelta numero 37. Inoltre, l’ottimo linebacker Lance Briggs è stato indicato come franchise player ma è infuriato perché questo significa un contratto inferiore a quello che avrebbe potuto ottenere mettendosi sul mercato (basti vedere i 35 milioni in cinque anni, compresi 20 milioni garantiti, che l’eccellente Adalius Thomas avrà per passare da Baltimore a New England). In più c’è il risentimento di Briggs verso la dirigenza dei Bears che lo scorso anno non era riuscita ad arrivare con lui (anche colpa sua, ovvio) all’accordo su un contratto da sette anni e 33 milioni ed ora può offrire sì 7 milioni, ma intende proporre solo un contratto annuale, che dà bassissima possibilità di programmare e poca sicurezza (tutto è relativo, sia chiaro… sono pur sempre 5.3 milioni di euro…). Briggs ha dunque chiesto che i Bears gli tolgano la designazione a franchise player, e vuole essere ceduto. Si vedrà.
2. Senza nascondere la testa nella sabbia, ogni tanto qualche argomento rischioso quando si parla di football c’è. Oddio, ultimamente anche più di qualcuno, purtroppo: dal problema degli steroidi a quello dell’assistenza che la NFL e l’Associazione Giocatori forniscono agli ex atleti, ex di qualche decennio fa, bisognosi di cure mediche o denaro, per finire con un altro aspetto medico, quello dei traumi cranici e del loro effetto. Inutile fingere che tutto questo non esista, e nemmeno la NFL, lega politicamente ben sistemata e potente, con agganci giusti a Washington, può sperare che certe questioni svaniscano da sole. Sul piano delle sostanze illecite, brutto imparare che un medico dello staff dei Pittsburgh Steelers, Richard Rydze, è tra gli indagati per una vicenda di commercio di steroidi gestito da una coppia di farmacisti di Orlando: dal momento che è improbabile che Rydze abbia speso ben 150.000 dollari in testosterone e ormone della crescita (HGH) per uso personale, il naturale sospetto è che in qualche modo l’acquisto sia collegato agli Steelers, e non per nulla la NFL ha immediatamente aperto un’inchiesta sull’accaduto. La notizia arriva un mese dopo che la NFL stessa ha deciso di inasprire le pene per l’uso di sostanze illecite, il che rappresenta un grande passo in avanti. Nello specifico: a) ci saranno test per riscontrare la presenza di EPO nel sangue, e la NFL sarà la prima lega pro del Nord America a vietarla; b) aumenta da sette a dieci il numero di giocatori sottoposti per sorteggio ad esame durante la regular season, e inoltre viene intensificata la frequenza dei controlli anche nel resto dell’anno; c) gli esami stessi consisteranno nell’utilizzo di una tecnica (all’isotopo di carbonio) che finora valeva solo per confermare eventuale positività; d) verrà fatta una donazione di 500.000 dollari al laboratorio di test olimpici di UCLA, l’università di Los Angeles, per ulteriori ricerche sull’ormone della crescita; e) chi viene sospeso per doping si vedrà sottrarre non solo una percentuale di stipendio pari al numero di partite saltate, ma anche una porzione della (solitamente notevole) somma ricevuta come premio-contratto all’atto della firma. Questo non vuol dire che chi cerca di sottrarsi alle regole verrà certamente pescato, ma è già qualcosa, dopo le discussioni tra NFL ed Associazione Giocatori avviate già nell’autunno 2005 a proposito delle rivelazioni sul presunto uso di steroidi fatto dai Carolina Panthers nella stagione 2003, quella che poi conclusero al Super Bowl (perso contro New England). In più, la stagione 2006 ha visto anche lo scempio della presenza al Pro Bowl (d’accordo, partita inutile…) di Shawne Merriman (foto), l’ottimo linebacker dei San Diego Chargers che durante la regular season era stato squalificato per quattro partite perché sorpreso positivo agli steroidi: in molti si erano detti indignati per la convocazione di Merriman ad una gara che è comunque una passerella, e anche questo episodio non aveva giovato all’immagine della NFL, lega quasi perfetta, ma appunto… quasi. Nell’ultimo biennio, poi, dopo le rivelazioni sull’operato del celebre laboratorio Balco, che hanno danneggiato soprattutto alcuni giocatori di baseball (è pressoché impossibile che Mark McGwire venga eletto alla Hall of Fame per via dei fortissimi sospetti sull’origine della potenza che gli diede l’allora record stagionale di fuoricampo, nove anni fa), persino il mondo politico si è accorto della china pericolosa che stavano prendendo le cose, ed ha operato forti pressioni, unite a convocazioni al Congresso, sulle varie leghe. La NBA ad esempio effettua test casuali quattro volte a stagione, con squalifica di 10 partite alla prima violazione, di 25 alla seconda, di un anno alla terza e a vita alla quarta, mentre per la NFL valeva uno stop di quattro gare per la prima infrazione alle norme contro gli steroidi ed un anno alla seconda.
3. Sul fronte degli infortuni causati da colpi ricevuti (altra cosa sono quelli per torsione su cambio di direzione o caduta), va ricordato qui che raramente, se uno rimane entro le regole NFL, ci possono essere danni davvero gravi, visto che l’uso diretto del casco come strumento per colpire è vietato, ma è ovvio che i prolungati micro-traumi possono avere un effetto nel lungo termine, e anche drammatico: qualche mese fa Andre Waters, durissimo safety dei Philadelphia Eagles degli anni Ottanta e Novanta, si è tolto la vita, e pare che l’esame autoptico del suo cervello abbia rivelato che i tessuti erano come quelli di un uomo di 85 anni, con segni di morbo di Alzheimer allo stadio iniziale. Il tutto, secondo l‘anatomo-patogolo Bennet Omalu, è verosimilmente da ricondurre a ripetuti traumi cranici, del tipo che può comunque subire chi gioca a football ed in ruoli in cui può capitare un impatto ad alta velocità e potenza. E come detto Waters era stato, nei suoi dieci anni NFL, uno dei più feroci e grintosi safety. E un altro studioso, pur smentendo una correlazione diretta tra colpi di gioco con il casco e sintomi di depressione quali quelli segnalati dall’ex linebacker dei Patriots Ted Johnson, ha anche ammesso che un legame non è da escludere. La NFL, sollecitata da più parti, ha deciso di incaricare la propria commissione per lo studio alle lesioni traumatiche al cervello di esaminare un cospicuo numero di recenti ex giocatori per verificare se ci possano essere casi in divenire, e coglierli in tempo. Anche se sottolineiamo, ad evitare sensazionalismi, che il problema non viene sentito come una specie di emergenza nazionale o scandalo, non sarebbe la prima volta che il football deve dars

i una regolata di fronte all’opinione pubblica. Ora non se ne riparla quasi mai, ma nel 1905 il presidente degli Stati Uniti, Theodore Roosevelt, diede un ultimatum ai rettori delle università che già all’epoca avevano maggiori tradizioni perché apportassero correzioni al football. Non è però vero, come a volte si legge, che Roosevelt avesse minacciato di abolire lo sport, perché non era nei suoi poteri farlo, ma certamente ci fu una conferenza straordinaria alla Casa Bianca: Roosevelt era infatti grande appassionato di football che riteneva (il signore sì che se ne intende) formativo del carattere anche per i duri scontri di gioco, ma era rimasto turbato dall’eccessiva violenza di alcuni giocatori e dalla progressiva sparizione del fair play, insomma della correttezza, sia sul campo sia nel reclutamento di giocatori, che in alcuni casi venivano contesi a manciate di dollari tra i vari college (ora è uguale, ma più raffinato). E’ anche possibile, ma per nulla certo viste le sue convinzioni, che fosse rimasto colpito dalla notizia di alcuni decessi sul campo, avvenuti in un tempo in cui le regole erano notevolmente diverse. Era del resto l’epoca della flying wedge, ‘il cuneo volante’ nel senso di giocatori che prendendosi sottobraccio uno a fianco dell’altro correvano verso gli avversari aprendo la strada al portatore di palla e lasciando spesso dietro di sé, appunto, feriti anche gravi. Tra i suggerimenti accolti dal comitato riunito da Roosevelt ci fu quello di John Heisman (foto), il celebre coach il cui nome fu poi dato al trofeo che va al miglior giocatore universitario: legalizzare il passaggio in avanti, ovvero il lancio. Pietra miliare che separò del tutto il football dal rugby e che, aprendo il gioco – che peraltro per decenni ancora fu basato più sulle corse che sui lanci – permise di ridurre il numero di contatti violenti, rendendoli ‘solo’ duri, distinzione che peraltro alcuni non hanno ancora capito, specialmente al di fuori degli Stati Uniti. Una curiosità su Heisman è che al primo incontro con i nuovi giocatori di una squadra li faceva mettere seduti, prendeva un pallone e con tono solenne diceva: «Questo è uno sferoide prolato (allungato, ndr) in cui il rivestimento esterno di cuoio è applicato sopra un nucleo interno di gomma. Guardatelo bene: sarebbe stato meglio morire da piccoli che fare un fumble», ove fumble, meglio sempre spiegarlo perché i linguaggi da setta segreta fanno un po’ ridere, è quando un giocatore in possesso di palla la perde e questa diventa libera, di proprietà del primo che la raccolga.

Roberto Gotta
chacmool@iol.it

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