Calcio

La morte di Bernardini

Stefano Olivari 13/01/2022

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Uno dei più grandi personaggi del calcio italiano moriva il 13 gennaio del 1984, esattamente 38 anni fa, per un collasso cardiocircolatorio. Era fuori dal calcio dal 1979, dopo avere chiuso come dirigente della Sampdoria, e aveva fatto in tempo a vedere il trionfo mondiale di Bearzot con una Nazionale che sentiva molto sua, visto che proprio lui era stato chiamato nel 1974 a fare da tutore a Bearzot dopo l’esonero di Valcareggi. Un periodo non proprio luminoso, fra convocazioni cervellotiche ed esperimenti, ma il meglio Bernardini l’aveva già dato con gli scudetti alla Fiorentina e al Bologna.

Il meglio come allenatore, perché a detta di tutti i testimoni oculari Bernardini è stato uno dei più grandi calciatori degli anni Venti e Trenta (lui era nato a Roma nel 1905), al livello di Meazza e Giovanni Ferrari. Purtroppo per lui lo era in una posizione, quella di centromediano metodista, che nella mentalità italiana e soprattutto in quella di Pozzo doveva essere occupato non da un creatore di gioco che sapesse un po’ difendere ma da un difensore che sapesse un po’ creare gioco. La famosa e forse mai pronunciata frase “Lei gioca troppo bene per il livello dei suoi compagni” rispecchiava comunque bene il pensiero del commissario tecnico.

Così Bernardini si perse due Mondiali ma ebbe lo stesso una eccellente carriera fra Lazio, Inter e Roma, prima di fare il giornalista al Corriere dello Sport e di ripartire come allenatore. Amatissimo dalla stampa, anche da quella che ufficialmente lo detestava, perché regalava sempre titoli e spunti polemici, giocava con il personaggio di intellettuale che gli avevano cucito addosso, basato sulla sua laurea alla Bocconi in un’epoca in cui il calciatore medio sapeva a malapena leggere. Un grande uomo di calcio, ma dire che il Mondiale 1982 sia stato merito suo è una forzatura perché da quando ebbe tutto il potere Bearzot si allontanò molto dai dettami del vecchio maestro.

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