La Milano di Bogarelli e Galliani

16 Marzo 2021 di Stefano Olivari

Marco Bogarelli è morto di Covid a 65 anni di età e con lui se ne va uno degli uomini più potenti dello sport italiano negli ultimi 30 anni, magari poco conosciuto dal grande pubblico ma di sicuro decisivo prima con Media Partners e poi con Infront in tutte le grandi partite con i diritti televisivi in palio, da quelli del calcio in giù. Non è un mistero che nei giochi politico-sportivi che contano Bogarelli sia sempre stato considerato il braccio armato di Berlusconi, delle reti Fininvest poi Mediaset e soprattutto del suo grande amico Adriano Gallliani. Per questo, restringendo il discorso al calcio, i suoi amici e i suoi nemici sono spesso stati legati allo schema ‘Servi del Milan contro servi della Juventus’, semplificando ma non troppo.

Personalmente il primo ricordo diretto che abbiamo di Bogarelli, che era già da anni un personaggio molto importante, risale alla primavera del 1999 quando all”Olimpia Milano si stava chiudendo l’era Stefanel. Da un anno il patron aveva ritirato la sponsorizzazione, infatti la squadra allenata da Marco Crespi era targata Sony, aveva smantellato il roster e cercava acquirenti. Tanti i nomi che si fecero avanti, tipo il tunisino Kamel Ghribi, ma la proposta più seria sembrò subito quella della Media Partners di Bogarelli, fra l’altro fratello di quel Bruno Bogarelli che è stato l’inventore dei telegiornali della Fininvest ma soprattutto, dal nostro punto di vista, l’uomo che ha portato la NBA in Italia affidandola al racconto di Dan Peterson.

Tornando a quella trattativa che seguimmo da vicino (nel consueto ruolo di peones, beninteso), Bogarelli coinvolse anche l’amico Galliani, grande tifoso Olimpia che dieci anni prima era stato ad un passo dal far comprare a Berlusconi il club allora di proprietà di Gabetti. Si andò avanti per mesi, Stefanel un po’ non si decise e un po’ non voleva cedere per niente un club in cui aveva investito tanto, considerando anche i soldi dei tempi di Trieste. Intanto Ghribi si spazientì, scegliendo di fare l’azionista di minoranza nella Fortitudo Bologna di Seragnoli.

La situazione finanziaria del club fece parlare molti di fallimento e a fine luglio, con soli 4 giocatori tesserati, Stefanel lanciò un messaggio poco in codice: “Vendo l’Olimpia al prezzo simbolico di mille lire”. Sembrava fatta per Bogarelli e Galliani, che a fari spenti avevano seguito l’agonia dell’Olimpia, ma a sorpresa da Chicago spuntò Pasquale Caputo. L’italoamericano, imprenditore nel settore caseario, per l’Olimpia pagò circa 2 miliardi di lire: poco rispetto a quanto speso da Stefanel, tanto rispetto allo zero di Bogarelli e Galliani.

Da dove era saltato fuori l’uomo che sfilò l’Olimpia alla cordata milanese-monzese? L’aveva inventato Mike D’Antoni, visto che un suo conoscente di Chicago, l’avvocato Charles Bernardini (lo avremmo ritrovato 15 anni dopo in un’altra occasione), aveva parlato a Caputo di questa opportunità in Italia. Caputo decise dopo aver chiesto informazioni a D’Antoni, all’epoca allenatore dei Nuggets, e a sua moglie Laurel. Le cose si misero subito male, in ogni senso, e così dopo poco arrivò come socio di Caputo nientemeno che Kobe Bryant, per l’esattezza la società che curava la sua immagine e che era gestita dal padre Joe prima che il figlio lo esonerasse. Ma questa è un’altra storia (spoiler: finita male).

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