Il tesoro dei Pirates

18 Settembre 2008 di Stefano Olivari

In questo periodo si è fatto un gran parlare del Sudafrica ed è ovvio che sia così, visto che fra meno di due anni proprio questo stupendo Paese ospiterà i Campionati del Mondo. Anche se forse sarebbe meglio dire “dovrebbe ospitare” dato che fra ritardi nella costruzione degli stadi e criminalità a livelli da Far West ( nel 2007 in Sudafrica ci sono stati 18000 omicidi, l’Italia, che non è uno dei Paesi più tranquilli, nello stesso periodo ne ha avuti 597) l’assegnazione della competizione non è proprio così sicura. Lo stesso Blatter nelle scorse settimane ha voluto sottolineare come sia già pronto un Piano B, con almeno altri due Stati disponibili da subito ad organizzare l’evento. Finora però nulla è stato ancora detto sul calcio sudafricano, sulla sua storia, sui suoi club che stanno assumendo una forma sempre più professionistica, da quando nel 1992 l’apartheid ha smesso di tormentare il Paese. Una delle storie più originali è sicuramente quella che riprendiamo da Peter Alegi attraverso il suo libro” Laduma, Soccer, Politics and Society in South Africa”e che riguarda la formazione degli Orlando Pirates, originari della zona di Orlando nel distretto di Johannesburg, proprio quell’area oggi meglio conosciuta come Soweto- il nome deriva dalle iniziali di “South Western Townships”.
Il club venne formato nel 1937 da studenti neri originari del luogo. Gli stessi sentirono la necessità di aprire una sezione calcistica, oltre a quelle già esistenti che riguardavano le freccette, il tennistavolo e la boxe. Il calcio, più degli altri sport, avrebbe sicuramente permesso agli abitanti della township di identificarsi maggiormente con la squadra, creando così un legame indissolubile fra squadra di football e comunità. Questo fu evidente da subito e gli Orlando Pirates divennero l’orgoglio e il motivo di vanto degli abitanti di quella triste zona di Johannesburg. A dir la verità all’inizio la squadra venne chiamata “Orlando Boys’ Club” e solo nel 1939 l’allora portiere Reggie Nkosi suggerì di usare il nome Pirates. Banalmente l’estremo difensore suggerì quel nome dopo che in quel periodo aveva assistito al cinematografo alla proiezione del film “Sea Hawk”, dove un nobile inglese catturato e venduto come schiavo, riesce a scappare e ribellarsi, trasformandosi in un pirata dei mari.
In quei primi anni ci fu un personaggio che trasformò per sempre i Pirates, imprimendogli una indissolubile identificazione con il territorio di provenienza, Bethuel Mokgosinyane. Questo capofabbrica di umili origini, non solo fu il primo a far indossare la classica maglia nera con pantaloncini bianchi alla squadra, ma capì , prima degli altri,che gli Orlando Pirates non dovevano differenziarsi sulla scena sudafricana solo per il loro modo di giocare- un gioco elaborato fatto di passaggi corti, all’europea, in un periodo nel quale tutta l’Africa giocava con la palla lunga e senza schemi particolari- ma soprattutto per i servizi che il club poteva fornire alla comunità di Soweto. Mokgosinyane istituì un vero e proprio servizio di pompe funebri, che faceva capo al club. Se un socio dei Pirates o un suo familiare veniva a mancare, la società si faceva carico di quasi tutte le spese sfruttando anche i contributi che gli affiliati versavano durante l’anno. Per un giovane, negli anni ’40, far parte dei Pirates voleva dire avere una possibilità di salvezza, un’opportunità di vivere una vita tranquilla e non cadere nelle mani dei “tsotsis”( i criminali di strada) che in quel periodo cominciavano a prendere possesso di Soweto. I genitori solitamente spingevano i figli a fare parte del club ed erano i primi a mettersi in mezzo per impedire allo stesso di lasciare i Pirates e approdare ad un altro club.
Negli anni ’50 questo senso di comunità dei Pirati cominciò ad indebolirsi. Sicuramente in ciò influirono sia l’allargamento del numero dei soci che ormai comprendeva ragazzi che venivano anche da altri sobborghi e che quindi non avevano un legame così stretto con Soweto e la sua gente, sia l’istituzionalizzazione del regime dell’apartheid, che nel 1948 diventò praticamente legge. Le nuove disposizioni impedivano ad esempio agli Orlando Pirates di utilizzare il loro stadio e le nuove leggi segregazioniste non davano la possibilità di utilizzare in squadra giocatori “coloured”, cioè tutte quelle persone che non erano bianche ma non erano neppure nere ( indiani e pakistani per esempio). Iniziò così un periodo buio per i Pirates, di pari passo con quello di Soweto, ormai in mano alle gangs e ridotto al ruolo di ghetto per neri dal nuovo regime sudafricano, che al mondo diceva di voler provare un nuovo modello di vita dove bianchi e neri vivevano liberamente all’interno dello stesso Paese, pur se separati fra di loro, anche se di fatto ai neri venivano impediti i diritti più elementari.
Gli Orlando Pirates tornarono a fare parlare di sè nell’agosto del 1969, quando le società nazionali che monopolizzavano la produzione di birra e di tabacco- ovviamente entrambe interessate a vendere i loro prodotti sia ai bianchi che ai neri, alla faccia dell’apartheid- organizzarono un incontro fra chi aveva vinto il campionato sudafricano per i neri (gli Orlando Pirates) e i vincitori del torneo per i bianchi( gli Highlands Park). L’incontro avrebbe dovuto giocarsi il 31 agosto 1969 a Mbabane nello Swaziland. L’attesa, soprattutto nella comunità nera, era enorme e così il Ministro per la Polizia, S.L. Muller, si adoperò per annullare l’incontro. In quei giorni i Pirates affrontarono anche una faida interna, con parte dei dirigenti che accusava la società di non avere una visione moderna e commerciale del gioco del calcio. Si arrivò così a una scissione e alla formazione dell’attuale maggiore avversario dei Pirati, i Kaizer Chiefs. La nuova compagine prendeva il nome da uno dei soci dissidenti, Kaizer Moutang, che qualche anno prima aveva avuto un’esperienza come giocatore nella NASL americana, giocando proprio per gli Atlanta Chiefs. Moutang riteneva che l’esperienza americana gli aveva aperto gli occhi e gli aveva fatto capire cosa sarebbe diventato il calcio negli anni a venire.
Negli anni ’70 e ’80 queste due squadre sono state le forze trainanti del calcio sudafricano, creando anche delle vere e proprie leghe che a loro volta organizzavano campionati. Il tutto fino agli anni ’90, quando dopo la caduta del regime dell’apartheid, la Fifa ha riammesso il Sudafrica alle sue competizioni e finalmente è stato istituito un campionato nazionale non diviso razzialmente. Ad oggi Orlando Pirates e Kaizer Chiefs danno ancora vita a derby all’ultimo sangue, anche se altre compagini- soprattutto quelle di Città del Capo come i Santos o l’Ajax, foraggiato in tutto e per tutto dal club di Amsterdam- si sono affacciate alla ribalta.
Luca Ferrato
ferratoluca@hotmail.com
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