Nobiltà da Duke

10 Settembre 2009 di Luca Ferrato

di Luca Ferrato
1. La settima edizione della Homeless World Cup, in corso di svolgimento in questi giorni all’Arena Civica di Milano, ci sta dicendo che forse un altro calcio è possibile. Un calcio lontano dagli eccessi ai quali siamo ormai abituati e dalla furbizia come sistema di vita. Peccato che qui a Milano siano in pochi ad accorgersene, ma non è una novità per una città che non concepisce il calcio al di fuori di Milan e Inter e la beneficenza preferisce farla solo in cambio di un bel riscontro pubblicitario.
2. Comunque chi c’è si diverte. La Homeless World Cup è ricca di storie e di personaggi affascinanti, ovunque ti giri c’è un giocatore con il suo passato difficile ma anche con un futuro da scrivere, oppure una ragazza (le squadre che si affrontano a street soccer in partite di 14 minuti complessivi possono essere miste) che non ha paura nell’affrontare sul campo i colleghi maschi.
C’è per esempio la storia della nazionale giapponese, che è diventata la mascotte della manifestazione. Tutti acclamano i suoi giocatori, tutti vogliono farsi fotografare con loro. Hanno subito 56 gol in cinque partite, giocano uno sport molto simile al calcio, ma sono sempre sorridenti e disponibili con tutti. Oppure c’è il Sudafrica, con i suoi memorabili prepartita: prima del match contro il Kazakistan un canto che è durato 12 minuti.
3. Noi però vogliamo concentrarci su una storia a lieto fine, iniziata male ma male davvero. La storia di David Duke, scozzese di 29 anni, allenatore della squadra che porta sul petto la croce di Sant’Andrea. David ha una storia davvero particolare perché oltre ad essere allenatore è stato anche giocatore alla Homeless World Cup. Poco più che ventenne Duke ha perso il padre e da lì, anche per altri motivi, è iniziata la sua discesa agli inferi. Alcol, violenza, la rottura con la fidanzata e una vita che stava andando a rotoli. David, che è originario di Edimburgo, si è trovato in breve tempo senza un lavoro e senza una casa. A nulla è servito il trasferimento a Glasgow, dove pensava forse di dimenticare i momenti che l’avevano portato in breve tempo a perdere tutto. Anche lì il giovane allenatore scozzese ha vissuto in strada, preda ancora dell’alcol e senza alcuna prospettiva per il futuro.
4. In fondo questa potrebbe essere la storia di qualsiasi altro David, o Patrick o Giovanni del mondo, un uomo qualunque che dall’oggi al domani si trova sulla strada, uno di quegli uomini che magari solo qualche tempo prima avrebbe detto ”a me non succederà mai”. Poi improvvisamente ecco il calcio, la sua vecchia passione, e per lui, grande tifoso del Celtic, è stato quasi come il materializzarsi di un sogno. David viene coinvolto nel progetto della Homeless World Cup nel 2005 e reclutato come giocatore per l’edizione di Copenaghen. La regola del torneo voluto da Mel Young prevede che ogni giocatore non possa partecipare a più di una edizione, in modo che questa sia solo una fase di passaggio nel suo processo di riabilitazione e in modo che lo stesso giocatore si senta stimolato a coinvolgere altri senzatetto a partecipare all’iniziativa.
5. Ebbene, da quell’edizione di Copenaghen David Duke ha sposato la causa completamente.
Egli stesso ci dice: ”Dopo l’edizione del 2005 mi sono sentito rinascere e già dall’edizione successiva ero diventato assistente allenatore della squadra scozzese. Dal 2007 invece sono il primo allenatore e proprio in quel mio primo anno alla guida della squadra, nell’edizione svolta a Goteborg, ci siamo laureati campioni del mondo della Homeless World Cup, dopo una finale emozionantissima vinta per 9 a 3 contro la Polonia”. Il lavoro di David però non si è fermato li, visto che lui stesso è Chief Executive dell’associazione “Street Soccer Scotland” (http://www.streetsoccerscotland.org/), che cerca di coinvolgere più senzatetto possibile e poi di portarli con se alle varie edizioni del Mondiale.
6. I suoi giocatori sembrano usciti da un romanzo di Irvine Welsh, tutti ragazzi con un passato di alcool, droga e violenza alle spalle, ma tutti anche convinti che il calcio li porterà fuori dal tunnel. Per alcuni la strada è ancora lunga ma finalmente esiste un progetto di vita, qualcosa per cui lottare, quantomeno ora vi sono dei compagni con i quali si scende in campo tutti i giorni e per i quali si è disposti a dare tutto. David è soddisfatto per i risultati ottenuti nel suo periodo da allenatore: ”Sono estremamente contento per come stanno andando le cose. Ogni anno abbiamo ottenuto dei risultati con i ragazzi coinvolti, possiamo ritenerci soddisfatti per i risultati ottenuti nella vita da tutti loro dopo aver partecipato alla Coppa”.
7. Da un punto di vista prettamente sportivo, invece, David ha un problema molto simile a quello che Leonardo deve affrontare al Milan. Facendo le debite proporzioni, ovviamente: ”Quest’anno abbiamo una squadra un po’ vecchia. Abbiamo sì qualche ventenne, ma tre giocatori hanno più di quarant’anni ed è difficile per loro giocare, magari con giocatori africani non ancora ventenni che saltellano senza problemi per il campo. I favoriti non siamo certo noi, più che altro vedo bene Messico, Brasile e Portogallo”. Gli facciamo notare che anche l’Inghilterra non è niente male e lui annuisce, con la classica espressione che gli scozzesi fanno quando sono costretti a parlare bene degli inglesi. Anche se qualche giocatore con buone caratteristiche lo si vede, dalla squadra di Duke non uscirà il nuovo Henrik Larsson – essendo tifoso dei biancoverdi di Glasgow lo svedese è sempre stato il suo idolo – ma sicuramente anche da questa edizione David riuscirà a rimettere in piedi degli uomini che lui stesso ha raccolto mentre erano in ginocchio.
ferratoluca@hotmail.com
(in esclusiva per Indiscreto)

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