Ho cambiato tante case, i Tiromancino dopo altri cinque anni

9 Ottobre 2021 di Simone Sacco

Osservato da questa posizione privilegiata, Federico Zampaglione – alias mister Tiromancino fin dagli albori degli anni Novanta – sembra esattamente ciò che è. Uno che sa fare il suo mestiere. Chitarra acustica al collo, il Nostro improvvisa frasi country-blues e dialoga sereno con la stampa. Qui riunita in un hotel milanese in attesa dell’uscita del nuovo album Ho Cambiato Tante Case, che segna il ritorno degli stessi Tiromancino dopo ben cinque anni d’attesa (il precedente Fino a Qui del 2019 era una raccolta risuonata per l’occasione). Niente di strano. D’altronde questo è pur sempre il gruppo di Ci rivediamo presto/fra almeno altri cinque anni.

 

Eppure Zampaglione sembra anche qualcos’altro. Qualcun altro. Una sorta di Mike Oldfield capitolino, se volete. Di certo non per il look (la barba curata che ha sostituito da anni le lisce guance battistiane), né tanto meno per il sound (le sinfonie prog di quaranta minuti non sono mai state il suo forte) o per il modo di affrontare il pubblico (l’autore di Tubular Bells soffriva di paura del palcoscenico, Federico le folle se le mangia volentieri a colazione).

No, il motivo è un altro. Abbiamo citato Oldfield perché anche Zampaglione, gira e rigira, è un Uomo Virgin fatto e finito. Un simbolo per la label creata originariamente da Richard Branson. Ok, anche lui ha cambiato un po’ di case discografiche (come il titolo del disco, con un velo di ironia, lascia supporre) eppure, esattamente come per l’inglese Mike, è stata la Virgin a renderlo ciò che è. Grazie soprattutto ai tre gol La Descrizione di un Attimo/In Continuo Movimento/Illusioni Parallele che, a inizio millennio, tramutarono i Tiromancino nella band dove tutti andavano a parare. Pop sofisticato per chi non ne poteva già più dei tristissimi circoli indie. Musica con un’anima per chi voleva lanciare messaggi alla studentessa carina di Scienze della Comunicazione senza sbracare nei soliti Ramazzotti, Raf e compagnia.

Poi, da quindici anni a questa parte, è successo l’inverosimile: Zampaglione si è messo a fare il regista di culto – e che regista! – e ha girato un po’ di tutto: il torture porn venato di gotico (Shadow, 2009), il thriller erotico alla Mario Bava (Tulpa – Perdizioni Mortali, 2012), il rock drama (Morrison, 2021) e quello stranissimo debutto (Nero Bifamiliare, 2007) che tutti ricordiamo per una delle scene horror più agghiaccianti di sempre: Fabio Grosso, nella notte di Berlino 2006, che si appresta a tirare il rigore decisivo contro la Francia e, mentre impatta il pallone, un improvviso black out scollega tutti i televisori di un quartiere lussuoso alle porte di Roma…

Con il passare degli anni (e con il loro leader impegnato a presentare pellicole nei festival in giro per il mondo) i Tiromancino si sono inevitabilmente ridimensionati, i dischi fisici hanno ceduto il passo allo streaming, l’indie romano alla Calcutta/Thegiornalisti/Gazelle ha scalzato il pop tradizionale, l’hip hop ha imbruttito il Paese e il gusto musicale si è malinconicamente adattato allo spirito superficiale dei tempi. Aggiungeteci una gravosa pandemia di mezzo e, insomma, i tempi sembravano davvero propizi affinché potesse uscire un bell’album ispirato made in Zampaglione. Stampato dalla sua etichetta più emblematica. Nella sincera speranza non di inseguire il tempo perduto, ma di affezionarci finalmente a qualche bella canzone.

E qui veniamo a Ho Cambiato Tante Case che ha poco dell’opera spezzettata e frantumata che tanto piace ai curatori impiegatizi di Spotify. Un po’ di modernità generazionale naturalmente non poteva mancare (una campagna acquisti composta da Franco126, Galeffi, Leo Pari e Gazelle: come se a Mourinho, la scorsa estate, i Friedkin avessero comprato quattro prospetti dalla Premier e non il solo Abraham) mentre i suoni occhieggiano, come nella titletrack, ad un’elettronica contemporanea che si sublima soave anche nei beat di Avvicinandoti o nella dolcezza di Tu e io.

Però questa, fondamentalmente, resta un’opera con canzoni che hanno il sapore denso del Novecento. E quindi Domenica è puro cantautorato elegante che non avrebbe stonato in un album di Nino Buonocore; in Er musicista si va giù di dialetto e si cita l’immancabile Franco Califano; in L’odore del mare spunta il duetto immancabile con Carmen Consoli; nella contagiosa Questa terra bellissima suona le tastiere addirittura Alan Clark dei Dire Straits (!!!) mentre Zampaglione pizzica la sua chitarra con dei lick degni di Mark Knopfler; nella meravigliosa Testaccio Blues si omaggia Roberto Ciotti (strepitoso bluesman romano scomparso nel 2013 di cui non dimenticheremo mai le ventose colonne sonore di Marrakech Express e Turné donate a Salvatores) mentre nella ballad Finche ti va c’è persino un piccolo gancio melodico che ricorda l’ultimo Gabbani.

Fino ad arrivare alla commovente Eccoci papà (dedicata al padre Domenico, classe 1938 e convitato di pietra in molti brani del gruppo) dove ti aspetti sempre che sbuchi quel mood da Battisti anni Ottanta, costante, trascinante modello Due destini. Una canzone onesta e declamata che non sarebbe dispiaciuta a Lucio Dalla, in grado d’offrirci la rima più memorabile di Ho Cambiato Tante Case: E senza fare neanche troppi compromessi/siamo rimasti noi stessi. Un po’ come la vicenda ormai trentennale dei Tiromancino. Dannata buona musica, la loro. Mica trap che dura lo spazio di un attimo.

     

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