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Comunismo per conigli
Tani Rexho 29/03/2013
La distanza tra Valona e Brindisi è la metà di quella tra Civitavecchia e Olbia. Da Roma o Milano a Tirana si vola in poco più di un’ora. Eppure per circa 40 anni l’Albania è stata un mistero assoluto anche per gli italiani. Quel paese cosi vicino, piccolo, selvaggio, completamente isolato dal mondo esterno, è quello degli avi di Francesco Crispi, di Antonio Gramsci, di Enrico Cuccia. E’ stato sotto il Regno dei Savoia. Ha salvato migliaia di soldati italiani dopo l’8 Settembre. Ma poi per 40 anni di Albania quasi nessuno in Italia ha sentito parlare. Furono l’esodo massiccio, iniziato nell’ambasciata italiana di Tirana, e lo sbarco della nave “Vlora” (20 mila persone) l’8 Agosto del 1991 a riportare alla ribalta il vicino invisibile. Da quel momento, gli italiani impararono a conoscere il paese delle Aquile. Fin troppo bene…
Questa mini serie di cartoline sbiadite cercherà di raccontare momenti di quell’Albania. Quella “al di là del Muro”. Senza la pretesa né l’intenzione di fare gli storici. Qui racconteremo semplicemente di momenti di vita quotidiana vissuti da noi o persone da noi conosciute. Cercando di essere leggeri, come si fa raccontando una storia agli amici al bar. Cominciamo con i mitici bunker…
Quando su Facebook abbiamo visto un link postato da un amico di Indiscreto su “Concresco“, un libro del fotografo olandese David Galjaard riguardante uno degli aspetti più significativi dell’Albania di Enver Hoxha, il bunker, un veloce flashback ci ha fulminato.
Valona 1977. Una sirena forte, tipica di quelle che si sentono nei film sulla Seconda Guerra Mondiale per segnalare l’arrivo dei bombardamenti, ci avverte che è ora di abbandonare le case e andare veloci verso il rifugio. Una serie di bunker scavati nella collina di olive che sovrasta il nostro quartiere. Nessun attacco. Né degli sciovinisti greci, né dei titisti jugoslavi, né dei socialimperialisti sovietici, e nemmeno degli imperialisti americani o dei loro vassalli italiani. Era semplicemente una “prove gadishmerie” per testare la prontezza dell’eroico popolo albanese nel reagire ad un eventuale attacco dei numerosi nemici che lo circondavano. Sì, l’Albania della Guerra Fredda era circondata da moltissimi nemici, anche se più immaginari che veri. L’unico motivo per il quale ricordiamo quel momento (ci fu una simulazione d’attacco quasi ogni anno, fino al 1985) è il fatto che passammo tutta la notte ad ascoltare le gesta del nostro idolo di allora: Kastriot Mezini, vincitore del Giro d’Albania nel 1976 e nostro vicino di casa. A nove anni sentire dalla bocca del campione come i ciclisti in fuga si prendevano a colpi di pompa sulla schiena (la pompa da bici si portava con sé insieme con una camera d’aria da installare in caso di forature, mica c’erano le ammiraglie con tutta l’attrezzatura: proprio come nel ciclismo italiano degli anni Venti, solo che qui eravamo nei Settanta) non aveva prezzo.
I bunker, quindi. L’emblema della follia di un regime paranoico e senza eguali nel mondo ex-comunista dell’Europa dell’Est. Giganteschi funghi di cemento armato, piantati in qualsiasi posto possibile e immaginabile. Li vedevamo mentre andavamo a scuola, al mare, allo stadio, in montagna, al negozio, in mezzo alla città. Erano una presenza “tranquillizzante”. 750.000 bunker in un paese di 28,000 chilometri quadrati, per una popolazione di circa 3 milioni di persone. Una media di 26 bunker per chilometro quadrato, o di un bunker per ogni quattro persone.
Difficile ancora oggi capire se la decisione presa nel 1971 da Hoxha e dal suo braccio destro di allora Mehmet Shehu (puntualmente eliminato come nemico del popolo 10 anni dopo) fosse stata presa per convinzione vera e propria di un attacco dall’estero (molto probabile, vista la paranoia estrema di Hoxha) o semplicemente per convincere il popolo che doveva stringersi ancora più forte intorno a Nenes Parti (Madre di tutti noi, il Partito dei Lavoratori) ed accettare ad occhi chiusi qualsiasi direttiva o “consiglio” che veniva dall’alto. Sta di fatto che mentre le casse dello Stato venivano svuotate con spese folli e completamente inutili sia con il senno di allora che con il senno di poi (si calcola che un bunker costasse circa 70,000 lek: lo stipendio di un maestro in un anno), la gente cominciava a sentire l’avvicinarsi del razionamento del cibo. Ma a questo altri simpatico sottoprodotto delle dittature dedicheremo un’altra cartolina.
Qualcuno ha detto “1984” di George Orwell? No. Era 1984 di Enver Hoxha. Come furono testati i primi bunker? Questa sicuramente non piacerà al Direttore e ai lettori più sensibili. In sintesi: questi bunker furono riempiti di animali. Mille animali fedelissimi alla causa e pronti anche a morire per il Partito se fosse stato necessario. Conigli, capre, pecore, e cani sigillati dentro i bunker tramite porte metalliche (non sia mai che quei furbi di conigli riuscissero a scappare). Bombardati con circa 1000 proiettili d’artiglieria pesante per un totale di circa 50 kiloton, per ore e ore. Dalla battaglia uscirono terrorizzati ma vivi (anche se rincoglioniti, come ci ha fatto sapere decenni dopo Sabit Brokaj, ex-medico personale di Hoxha e presente al bombardamento per studiare “l’effetto che fa” una super bomba) capre, pecore, ma soprattutto cani, senz’altro ispirati dall’amore immenso per il Partito e il Compagno Enver e dall’odio infinito verso i nemici. I conigli invece, non ce la fecero. Non ci hanno detto se sono morti da vigliacchi o da eroi.
Tani Rexho
(in esclusiva per Indiscreto)